SCIENZA, COSCIENZA E CULTURA… PER SALVARE IL MONDO
<Meno male che è finita>.
Il dottore Massimiliano Fanelli tirò un sospiro di sollievo dopo avere effettuato l’ultima visita. L’ambulatorio vuoto gli procurava sensazioni strane: spossatezza, tranquillità e paura insieme. Spossatezza perché non era facile spegnere i motori dopo trenta visite in una mattina; tranquillità perché la convinzione di aver fatto, come sempre, il proprio dovere lo ripagava della fatica; paura perché il pericolo si nascondeva dietro l’angolo, e lui lo sapeva bene. Ed infatti, mentre effettuava i soliti esercizi di respirazione per rilassare i muscoli, ecco che dalla porta d’ingresso spuntò la testa di Evelina Lovasio, 50 anni per 95 chili, di professione zitella.
Il dottore Fanelli conosceva vita, morte e miracoli dei suoi assistiti. Se ne occupava da trent’anni, da quando era arrivato in paese con tanto entusiasmo in più e 30 chili di meno. Evelina l’aveva vista crescere e gonfiarsi, con una costanza impressionante. Ed ogni settimana arrivava per tormentarlo con qualche problema nuovo; a volte vero, spesso inesistente.
<Che hai, oggi?>, chiese senza entusiasmo.
<Mi fa male il dente>, rispose senza entusiasmo.
<Perché non sei andata dal dentista?>
<Ho paura del dentista. Sei tu il mio dottore e solo tu mi devi visitare>.
<Grazie dell’onore>, rispose Fanelli presagendo il peggio, <Siediti ed apri la bocca>.
Evelina si accomodò sulla poltroncina in similpelle e spalancò la bocca. Il vecchio dottore le si pose di fronte ma appena tentò di scrutare nella bocca la donna scivolò fino a terra. La paura fa brutti scherzi. Anche il secondo tentativo andò a vuoto, e così il terzo. La pazienza di Fanelli era esaurita.
<Alzati e mettiti con le spalle al muro>, ordinò il medico.
<Mi fai quasi paura>, rispose Evelina ma obbedì.
Fanelli bloccò la paziente al muro comprimendone la pancia con la sua pancia e così mandò in fumo ogni tentativo di scivolare. Costrinse Evelina ad aprire la bocca e cercò il dente malato. Inutilmente.
<Non vedo alcun dente cariato>
<Veramente… l’ho tolto>, balbettò quella.
<Come sarebbe a dire, l’hai tolto? Da sola?>
<Mi faceva male e l’ho strappato, quel fetente. Poi sono venuta da te per avere conforto>.
Fanelli fu tentato di strappare un dente a caso, ma si trattenne.
<Te ne puoi andare>
<E non mi dai qualche antibiotico?>
<Gli antibiotici non servono perché l’operazione l’hai fatta almeno una settimana fa e la gengiva è guarita. Però puoi prendere una purga, così ti disintossichi>
<Va bene una magnesia?>
<Benissimo, ed ora sparisci>.
Rimasto solo, il dottore Fanelli si affrettò a chiudere l’ambulatorio. Aveva da fare cinque visite domiciliari. Prima, però, andò a trovare Ludovico Serafini. La mattina precedente si era presentato in ambulatorio per controllare la pressione prima di tuffarsi in un pranzo di nozze. Purtroppo per lui la sentenza era stata impietosa: 200 di massima e 120 di minima. Terapia: digiuno.
<Come va?>, chiese il dottore appena messo piede in casa. Nessuno si accorse del sorriso sospetto.
<Non bene, mi gira la testa>, rispose l’amico-paziente.
La parola passò subito allo strumento tecnico. La lancetta indicò 120 di pressione massima e 60 di minima.
<Come è possibile? Oggi mi sento peggio di ieri>.
<Stai benissimo, come stavi benissimo ieri>.
L’intera famiglia rimase sconcertata e pretese una spiegazione.
<Era rotto l’apparecchio, l’ho scoperto appena sei andato via dall’ambulatorio>
<E perché non mi hai avvisato? Al matrimonio non ho toccato cibo…>
<Io, invece, mi sono divertito ad immaginarti circondato da ogni ben di dio. Voglioso e impotente>. E andò via soddisfatto mentre Serafini invocava vendetta.
<Non finisce così, dottore; mi devi una cena>.
Massimiliano Fanelli aprì gli occhi svegliato dal suono fastidioso del telefono. Da quando era andato in pensione passava il tempo in poltrona, a dormire o a ricordare i vecchi tempi. Ascoltò il genero che rispondeva alla telefonata di un paziente.
<Tachipirina se la febbre supera i 38… No, per l’antibiotico aspettiamo. Se ci sono problemi mi faccia sapere>.
Fanelli scosse la testa e cercò di riaddormentarsi. <I medici rischiano l’estinzione>, disse e si abbandonò nuovamente ai ricordi.
MEDICI A TUTTO TONDO, NON TECNICI CHE FANNO I DOTTORI
Ahinoi, come scriveva Charles Baudelaire in una sua celebre poesia, <… tutte queste cose sono passate, come l’ombra e come il vento>. E sono passate a tal punto che non interessano più, neanche per farne un film.
Infatti, il dottore Fanelli, frutto di fantasia, doveva essere il protagonista di una serie televisiva del genere medical drama, tanto di moda negli ultimi decenni. Doveva raccontare i medici di una volta e la loro radicale trasformazione in corso. Il progetto è rimasto bloccato dal repentino cambiamento della società, delle abitudini, dei gusti. Insomma, il dottore Fanelli è superato, da mettere in soffitta, da dimenticare. E non solo lui.
Una volta c’erano il prete, il sindaco ed il dottore. La gente aveva punti di riferimento chiari ed era tranquilla, sapeva a chi rivolgersi in caso di necessità. Poi la fiducia di un tempo si è trasformata in sospetto, critica, pretese, insofferenza. Perciò, a dar man forte ai tre moschettieri ormai appesantiti, è arrivato lo psicologo moderno D’Artagnan.
Il dottore non è più amico, confidente, complice; è diventato specialista che deve garantire la totale guarigione nel tempo massimo di un secondo. E se non lo fa si merita critiche feroci se non addirittura minacce e violenza. Reazioni alimentate anche dal gioco sempre più diffuso nella categoria: sparlare dei colleghi.
Oggi, la fiducia viene riposta nelle macchine più che negli uomini ed il medico di domani, probabilmente, sarà affiancato da un robot in grado di fare diagnosi, lui sì, nel tempo massimo di un secondo.
In questa società post moderna destinata ad essere dominata dalla mediocrità, il medico dovrà dotarsi di una nuova identità, di un nuovo ruolo. Dovrà decidere se confondersi, nascondersi, sparire, oppure dare una spallata all’ineluttabile e recuperare il suo ruolo centrale nella costruzione di una società diversa, che si ribella al decadimento. Insomma, un eroe vero.
C’è bisogno di MedTec ma a condizione che il dottore del futuro non sia un tecnico che fa il medico ma un uomo di scienza e di cultura (cioè un medico nel senso più autentico) con adeguate competenze tecniche. Recuperare la Medicina come Arte del progresso sarà la sfida del secolo.
Fortunatamente l’attrattiva della Medicina nei confronti dei giovani è ancora molto forte. Basti pensare a quanti ragazzi provano i test di ammissione alla Facoltà. Un dato che fa ben sperare a cui, però, si contrappone la tendenza (sempre maggiore, sempre più preoccupante) di scegliere specializzazioni che garantiscono tranquillità o facili guadagni. Non è un bel segnale e andrebbe seriamente analizzato.
Certo, lo stipendio non è adeguato, i rischi sono sempre maggiori, la vocazione è una parola obsoleta… ma questo è sufficiente a spiegare il caos ed il malessere della professione?
Il medico deve cambiare per poter cambiare il mondo. Altrimenti la nostra salute sarà affidata a super macchine super intelligenti guidate da medici autisti. E non sarà una bella prospettiva.
Circa mezzo secolo fa, una celebre pubblicità invitava gli automobilisti ad usare un particolare carburante in grado di far andare l’auto a mille. <Metti un tigre nel motore>, ammiccava la tigre simbolo di quell’azienda. Al che, il grande Aldo Fabrizzi ironizzò: <A che serve avere un tigre nel motore se c’è un asino al volante?>
Già, a che serve?