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IMG dott. Sisinni

Caro Collega Silvio Colonna,
nel numero 4/2020 della nostra pregevole rivista Salento Medico a conclusione della recensione lunga e ben articolata del mio libro dal titolo La Medicina d’oggi e dal sottotitolo Tecnologicamente avanzata e umanamente arretrata (per la quale ti ringrazio di cuore anche perché hai ritenuto farla oggetto del tuo editoriale), hai invitato i colleghi-lettori ad esprimere le proprie idee sull’annosa problematica riguardante il rapporto medico-paziente analizzata alla luce dei principi deontologici.

Ho, così, l’occasione oltre che per dire ancora quello che io penso sullo stato di salute della Medicina d’oggi, anche per puntualizzare meglio il significato del sottotitolo che ho voluto dare. In verità è un po’ provocatorio ma rispecchia la realtà. Ritengo un bene che la Medicina moderna sia tecnologicamente avanzata – ci mancherebbe altro! – ma lo dovrebbe essere anche umanamente. E così non è. E lo dicono tutti o quasi. Gli stessi politici – che, poi, sono quelli che fanno le leggi – quando parlano in pubblico lo negano, mentre in privato – quando non vengono registrate le loro dichiarazioni – lo ammettono.
L’alta tecnologia delle cure non dovrebbe escludere l’umanità di esse, dovrebbero procedere insieme.

Tu citi la Legge 219 del 2017 e in particolare l’ottavo comma dell’art. 1, secondo il quale “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Questo sulla carta, ma non nella realtà che è ben diversa: il medico d’oggi non ha il tempo materiale per comunicare col paziente, perché è oberato di lavoro e impegnato a redigere statistiche, stilare relazioni al fine di ottimizzare la spesa sanitaria. Si pensi a quello che accade nei Pronto Soccorso dei vari Ospedali, dove i pazienti con patologie che richiedono interventi urgenti sostano ore ed ore prima di essere visitati. Che cosa c’è di umano in queste cure?
Si pensi, ancora, al modo con cui viene usato il cosiddetto consenso informato. Per lo più è l’infermiera che lo porta al paziente chiedendogli di firmarlo, in fretta e furia, come si suol dire.

Quindi la posizione del paziente non è “al centro” delle cure, come la legge vorrebbe, ma alla periferia. La firma su quel foglio del consenso informato, che farà parte integrante della cartella clinica, serve a proteggere il medico da eventuali accuse giudiziarie che potrebbero seguire al suo agire professionale e non a informare, nei dettagli, preventivamente il paziente sui rischi che quell’atto medico comporta.
Continuo, poi, a sostenere che la Medicina d’oggi, pur essendo tecnologicamente avanzata, non è nello stesso tempo umana, per un altro motivo che è sotto gli occhi di tutti: l’Istituzione delle prestazioni intramoenia in Ospedale è una bruttura senza precedenti perché divide i malati in ricchi e poveri. E non è giusto, in quanto offende, secondo me, l’art. 32 della Costituzione, che sancisce, oltre la morale, il diritto alla salute, nella stessa maniera, a tutti i cittadini senza distinzione di sorta.

Altro punctum dolens della Medicina odierna è il criterio col quale s’accede agli studi universitari, quello dei test, che non possono assolutamente tener conto della cosiddetta inclinazione alla professione medica dell’aspirante medico. È un criterio selettivo sbagliato. Tutti, ormai, lo dicono ma nessuno dei politici mette mano per correggere quest’altra bruttura che regola l’accesso agli studi universitari di Medicina. Occorrerebbe, secondo me, un’azione forte, più decisa da parte della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e anche dei Sindacati, che dovrebbero difendere non solo i diritti dei lavoratori, iscritti alla loro Associazione, ma anche quelli degli studenti che aspirano a diventare medici. Riconosco d’essere un medico d’altri tempi, come qualcuno mi definisce, ma non mi dispiace esserlo.

Sono un medico d’altri tempi che considerava inumana quella definizione che veniva data a quei pazienti che dovevano essere dimessi dal suo reparto, che non avevano familiari né casa, non erano autosufficienti, erano gravemente deteriorati nelle loro facoltà psichiche, per completare la campagna di deospedalizzazione, chiudere l’Ospedale psichiatrico per applicare, sino in fondo, la legge Basaglia; legge – si basi bene! – che era nata per dare dignità ai malati mentali. E li si indicava sulle varie circolari che inviavano a noi medici di reparto: residuo manicomiale, vale a dire, in altre parole, malati da scarto. Incredibile, ma vero! I malati mentali ora sono liberi, sì, ma non sono curati, oppure sono curati male.

L’assistenza territoriale psichiatrica non brilla e fa discutere per il modo in cui viene gestita. Se non fosse vero non sarebbe nata la Diapsigra (Associazione dei familiari dei malati psichici gravi). E poi, per rendersene conto, basta leggere il libro di Valter Santilli dal titolo Per il bene del malato, un capitolo del quale è intitolato: L’inferno dei malati mentali. Parla dell’assistenza psichiatrica territoriale nella Capitale. Altro che Medicina umana o umanizzata!

E chiudo, significativamente, questo mio intervento citando un passaggio del libro La scomparsa del dottore di Giorgio Cosmacini, medico, filosofo e storico della Medicina di chiara fama: “No, quel che qui si dice esserci stato e non esserci più è il dottore. C’è differenza tra il medico laureato in Medicina in ogni tempo e in ogni luogo, e il dottore, com’era chiamato nel passato prossimo il professionista accreditato di una disponibilità pari alla competenza e al quale il paziente non esitava ad affidare se stesso”.

“Il mio dottore è un uomo di scienza ed è anche un amico, al quale confido tutto, come al confessore”. Questa figura di medico, purtroppo, secondo me, è ormai sparita dallo scenario della Sanità di oggi. Non resta che prenderne atto e, malinconicamente, farsene una ragione e andare avanti. Lo richiede, anzi lo impone, il cosiddetto progresso della tecnologia.

 

Dr. Sisinni Salvatore
Dr. Sisinni Salvatore

 

 

 

 

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