Numero 3-2021
scritto dalla Dr.ssa Alessandra Cimino, Spec. Medicina Nucleare – ASL Lecce
LA DOTTORESSA CIMINO A COLLOQUIO CON IL PROFESSORE PASCALI, ECCELLENZA SALENTINA IN AUSTRALIA
D) Origini Leccesi, laurea a Pisa, dottorato di ricerca in terra natia ed esperienze e collaborazioni internazionali fino a porre radici in Australia. Ci racconti il suo percorso di studi?
R) Il mio è stato un percorso di studi un po’ ibrido, né accademico né clinico. Un po’ riflette la mia indole, sempre curiosa e alla ricerca di nuovi campi. Ma andiamo con ordine. Mi sono laureato in Chimica a Pisa nel 2001, con una tesi fatta presso l’Istituto di Fisiologia Clinica (IFC) del CNR, che era allora uno dei pochi centri attrezzati con un ciclotrone, grazie alla visione lungimirante di Piero Salvadori; infatti, la mia tesi riguardava già allora tecniche di marcatura con radioisotopo 18F, argomento tra l’altro nuovo anche per il dipartimento di Chimica. Mi fa piacere ricordare che fu un cardiologo Salentino, il Prof. Alessandro Distante, a consigliarmi di dare un’occhiata in quel nuovo campo di ricerca, che è poi diventato la base del mio lavoro futuro. Dopo la laurea e un po’ di contratti temporanei, ho ottenuto una borsa di studio per fare il dottorato nella scuola ISUFI di Lecce, allora diretta da Roberto Cingolani (un altro grande visionario, direi). Questo corso di studi mi ha offerto l’opportunità di spostarmi a fare ricerca nel National Institute of Health in USA, dove sono stato per quasi 3 anni e ho avuto modo di incontrare autorità nel campo medico e scientifico (per capirci, del calibro di Anthony Fauci, già allora direttore del NIAID). Infatti, la mia tesi di dottorato, incentrata su nuovi metodi di marcatura di isotopi emittenti positroni, era supervisionata da Piero e William C. Eckelman, quest’ultimo ritenuto il padre dei “kit istantanei” ora utilizzati nella stragrande maggioranza delle preparazioni per Medicina Nucleare.
Finito il dottorato, sono stato assunto dall’Università di Pisa come “tecnico laureato” per gestire il reparto di analisi tossicologiche del laboratorio biomedico dell’Ateneo. Tuttavia, l’amore per la radiochimica non mi aveva abbandonato e, dopo vari brevi contratti ed esperienze anche commerciali, ho avuto la fortuna di partecipare alla stesura di un progetto Europeo FP7 dal titolo “Radiochemistry On Chip”. Il finanziamento di tale progetto mi ha permesso di tornare a fare ricerca presso l’IFC con Piero ed una lunga serie di collaboratori Europei, nonché il centro di Nanotecnologie di Lecce. Dopo aver lavorato anche presso l’Officina Farmaceutica dell’IFC-CNR di Pisa, ho avuto la possibilità nel 2013 di applicare per una posizione presso ANSTO come “Radiochemistry Team Leader”, e da allora sono ancora in Australia a sviluppare metodi radiochimici indirizzati ad una Medicina Nucleare moderna ed efficiente.
Se dovessi dare un consiglio maturato dalla mia esperienza, direi che le materie studiate hanno una importanza relativa; quella che conta realmente è avere supporto familiare; individuare, seguire e rispettare i propri mentori; infine, non aver paura di immaginare cose mai affrontate prima. Lavorare duramente è importante, ma non dovrebbe mai rovinare la persona ed i rapporti interpersonali.
D) Cosa le appassiona della radiochimica? E, soprattutto cosa l’ha portato ad affascinarsi delle sue applicazioni in medicina nucleare?
R) La radiochimica è la scienza (o l’arte) di effettuare reazioni chimiche utilizzando anche materiali radioattivi di partenza. Radiochimica è anche l’arricchimento di Uranio, o l’estrazione di isotopi radioattivi da reperti di miniera. Ma non avrebbe senso unire i miasmi della chimica ai rischi radiologici se non ci fosse un chiaro scopo di utilità; ovvero, quello che qualifica le varie specialità radiochimiche è l’utilizzo finale dei prodotti realizzati. Nel campo della Medicina Nucleare, si utilizzano Radiofarmaci, ovvero molecole farmaceutiche o della vita al quale è stato scambiato uno degli atomi costituenti con un isotopo radioattivo (marcatura); inoltre, questo isotopo deve avere caratteristiche di decadimento ideali per la procedura diagnostica o terapeutica d’interesse (ad esempio, emittente positroni per PET, emittente gamma per SPECT, emittente alfa o beta per terapia). Perciò, in campo medico, si parla più propriamente di una branca della radiochimica denominata Radiofarmacia, ovvero la disciplina riguardante la sintesi, purificazione e formulazione di radiofarmaci ad uso clinico.
Ci sono due cose che trovo estremamente affascinanti in questa disciplina. La prima è la possibilità di marcare (quasi) qualsiasi molecola e seguirne il fato biochimico direttamente nel soggetto, sia esso animale che umano. Questa straordinaria capacità permette di caratterizzare profondamente la diversa interazione di principi attivi con ogni soggetto, aprendo possibili vie alla personalizzazione del trattamento. La seconda caratteristica è che questo campo è fortemente multidisciplinare; per poter realizzare un radiofarmaco efficiente è necessaria la convergenza di conoscenze fisiche, matematiche, chimiche, biologiche, ingegneristiche, informatiche, mediche e regolatorie. Pur rimanendo con una grossa focalizzazione in ambito chimico, la possibilità di comunicare e continuamente imparare da diversi colleghi provenienti da altri campi della conoscenza, mi ha sempre attratto molto.
D) In tutti i suoi progetti le parole chiave sono M3: Molecole, Metodi e Macchine: cosa unisce questi elementi?
R) Come dicevo prima, il mio fuoco principale è nella Radiochimica/radiofarmacia, e queste parole chiave hanno senso in quel contesto. Produrre radiofarmaci impone limitazioni importanti sulla tipologia di reazioni realizzabili, sulla capacità di manipolazione e, soprattutto nel caso dei nuclidi a emivita corta (quasi tutti i nuclidi per PET), sulle tempistiche dell’intero processo. I classici interessi farmacologici si focalizzano sulla struttura della Molecola, senza interessarsi di come tali molecole possano essere sintetizzate o siano del tutto realizzabili. D’altra parte, il chimico sintetico si pone il problema di come costruire (sintetizzare) una particolare molecola d’interesse, sviluppando Metodi via via più completi e funzionali; ma a volte l’unica persona al mondo capace di effettuare tale sintesi è l’inventore stesso. Infine, conoscenze ingegneristiche permettono di implementare in Macchine automatiche di sintesi processi anche complessi, che possano essere eseguiti con estrema ripetibilità ed affidabilità; ma non sono (ancora) in grado di sviluppare autonomamente nuovi processi o nuove molecole.
I radiochimici, specialmente quelli che lavorano nello sviluppo di nuovi radiofarmaci, devono individuare Molecole che hanno un senso clinico, devono creare i Metodi di radiosintesi di tali composti, ed implementarli in Macchine che eseguano il compito autonomamente, rapidamente e con affidabilità. Per questa ragione, qualsiasi sviluppo radiofarmaceutico che non tenga conto di questi tre pilastri, rimarrà monco e dovrà essere continuamente ridisegnato per poter approdare in pratica di Medicina Nucleare. Per questa ragione ritengo il concetto di M3 come fondante nello sviluppo radiofarmaceutico, ed anche stimolante dal punto di vista educativo. In particolare, la comprensione dell’automazione di processi chimici in piccola scala (μL-mL) risulta cruciale per poter trasferire innovazioni radiochimiche dal laboratorio alla clinica; per questa ragione, sono stato tra i pionieri ad utilizzare tecniche microfluidiche nei processi di radiomarcatura.
D) Gli studi che la vedono protagonista vantano estesi campi di applicazione: dall’ambito neurologico-comportamentale al campo oncologico, fino al settore farmaceutico. Quali le sue preferenze?
R) Fermo restando il mio forte legame per il puro aspetto chimico della produzione radiofarmaceutica, la parte applicativa assume ovviamente la parte da padrone nella disseminazione dei risultati. A pochi specialisti interesserebbe il fatto di essere riusciti a marcare una molecola che nessuno era mai riuscito a fare prima, ma a molti interessa sapere come quella molecola possa servire a diagnosticare meglio l’Alzheimer e permetta di seguire l’andamento della terapia. Per chiarire ulteriormente, mi affascina la creazione dello strumento, che poi lascio altri esperti utilizzare al meglio. Fatto questo piccolo ma doveroso distinguo, non ho particolari preferenze, ma ho sicuramente dei commenti sulle varie possibili applicazioni.
Il campo oncologico ha un peso clinico ed emotivo tremendo, ed è sicuramente estremamente importante. Tuttavia, ci sono altre metodiche di Diagnostica per Immagini (e non) che possono dare dati altrettanto validi nel capire l’andamento di una neoplasia. Ovvero, le pratiche di Medicina Nucleare generalmente non hanno un vantaggio distinto rispetto ad altre tecniche nel diagnosticare tumori. Inoltre, le terapie disponibili una volta scoperto un tumore sono ancora limitate e, purtroppo spesso, l’unico effetto che si riesce ad ottenere è di certificare una situazione e cercare di ritardare quanto più possibile eventi estremi. Recentemente si inizia ad introdurre il concetto di “Teranostica”, che sembrerebbe conferire un potenziale vantaggio ad alcune classi di radiofarmaci; in questa applicazione, semplicemente cambiando la natura del radioisotopo utilizzato e mantenendo quanto più possibile l’identità molecolare, si riesce a realizzare un proiettile specifico per le cellule tumorali. Seppur promettente e fortemente pubblicizzato, tale approccio richiede per ora alti costi in termini di logistica, materie prime e specializzazione; potrebbe diventare una opzione in pochi paesi ricchi, ma non sarebbe (almeno per lungo tempo) disponibile alla stragrande maggioranza di pazienti che vivono nei paesi in via di sviluppo.
A mio parere i campi nei quali Radiofarmaci e Medicina Nucleare possono fare la differenza sono la Neurologia e la Farmacologia, tra l’altro per ragioni simili. Infatti, per caratteristiche inerenti a molti radiofarmaci, e specialmente vero nel caso di PET, la quantità di massa di principio (radio)attivo iniettato nel paziente è estremamente trascurabile, e segue egregiamente il concetto di “tracciante”. Ciò vuol dire che la molecola somministrata non avrà alcun effetto farmacologico e permetterà di monitorare il soggetto in condizioni omeostatiche. Perciò, marcando nuovi principi attivi, si potrà valutare la loro distribuzione naturale, prevedere potenziali effetti “off-target”, capire meglio il profilo di dose utile, e persino creare test di competizione con molecole già utilizzate in clinica. Queste informazioni sono cruciali nell’ottenere una caratterizzazione farmacologica veloce e precisa, potenzialmente diminuendo i tempi ed i costi per l’approvazione di nuovi farmaci.
L’utilizzo di quantità “traccianti” è anche fondamentale in studi riguardanti popolazioni recettoriali a bassa espressione globale, come succede spesso nella regolazione del sistema nervoso. Perciò, in ambito Neurologico queste tecniche di Medicina Nucleare (e nuovamente, specialmente la PET), permettono di comprendere in maniera diretta e specifica il funzionamento di tali delicati sistemi di controllo, e specialmente di capire come questi sistemi siano sbilanciati nelle varie patologie. Ovviamente, tale capacità può essere combinata con quella precedentemente evidenziata, permettendo un più rapido ed efficiente sviluppo di nuovi farmaci e terapie per debilitanti condizioni neurologiche.
D) Un suo ambizioso progetto è ARC-Linkage. Di cosa si tratta?
Il progetto citato è un chiaro esempio della versatilità delle tecniche di Medicina Nucleare nel rispondere a domande di base. Il “chief investigator” di questo progetto è il prof. Adam Guastella, uno dei massimi esperti nell’uso degli spray nasali di Ossitocina per migliorare la socialità in bambini autistici. Tuttavia, molti studi hanno dimostrato che non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo o con durate simili, ponendo perciò grossi dubbi nel capire quale dose somministrare e per quanto tempo. Inoltre, il meccanismo effettivo è ancora ignoto e si unisce alla diatriba sulla modalità d’azione di farmaci somministrati intranasalmente, per i quali si suppone un migliore attraversamento della barriera ematoencefalica, mai dimostrato con convinzione.
Perciò, in questo progetto abbiamo sviluppato un analogo strutturale dell’Ossitocina marcato con 18F, con l’intenzione di seguirne la distribuzione una volta che tale radiofarmaco è somministrato per via intravenosa o intranasale; la speranza è che tale esperimento possa chiarire il meccanismo d’azione dell’Ossitocina e se effettivamente la via intranasale produce una distribuzione marcatamente diversa alla via intravenosa. La caratterizzazione preclinica (cioè in animale) del radiofarmaco ha confermato somiglianza all’Ossitocina naturale a specificità per i bersagli noti. Stiamo attualmente pianificando lo studio PET “first-in-human” su un piccolo gruppo di volontari, che è stato fortemente rallentato dalla situazione pandemica corrente.
D) Come medico nucleare, mi hanno affascinato i suoi lavori volti all’innovazione del processo di radiofluorurazione, elemento cardine nella metodica PET. Quali applicazioni ne immagina nella routine clinica?
R) Attualmente, il radiofarmaco usato nella maggior parte delle procedure PET è il [18F] Fluorodesossiglucosio ([18F]FDG); questo per ragioni storiche e di mercato. Tuttavia, ci sono moltissimi altri radiofarmaci con 18F che hanno una dimostrata utilità nel diagnosticare determinate patologie con precisione; ma questi non sono generalmente disponibili in maniera altrettanto economica, capillare e flessibile. Uno dei fattori (ma non il solo) che potrebbe migliorare tale scenario e portare in clinica una maggiore scelta di procedure PET adatte, è lo sviluppo di nuovi metodi di radiofluorurazione che siano efficaci, generali, affidabili, scalabili ed automatizzabili. Per questo ho sempre avuto un particolare occhio di riguardo verso queste innovazioni, in quanto hanno la potenzialità di aumentare considerevolmente l’arsenale di radiofarmaci utili in Medicina Nucleare. Per inciso, una maggiore disponibilità di differenti radiofarmaci PET è anche legata all’ambito regolatorio vigente e ad interessi commerciali e di mercato, ma questi fattori sono fortemente condizionati a livello nazionale ed internazionale, e perciò di difficile prevedibilità.
D) La medicina nucleare è una branca della medicina in continuo sviluppo ed espansione: cosa immagina in un prossimo futuro?
R) Personalmente vedo la Medicina Nucleare come una specialità costosa che si sta muovendo da applicazioni di nicchia ad un uso più routinario. Tuttavia, altre metodiche si sono evolute molto più velocemente, e tale disciplina rischia di rimanere indietro, con evidente detrimento nella varietà di scelte diagnostiche e terapeutiche. Sfortunatamente, la disponibilità di radiofarmaci sta giocando un ruolo nefasto nel rallentamento di tale trasformazione, principalmente perché sono regolati in maniera troppo simile ai farmaci tradizionali. Limitazioni pratiche e regolatorie a parte, la Medicina Nucleare può vedere un futuro roseo se si concentra sulle sue caratteristiche distintive: sensibilità, concetto “tracciante”, specificità. Vedo un futuro nel quale queste caratteristiche guideranno le applicazioni di “Medicina Personalizzata”, per le quali una precisa comprensione dello stato di salute e dei meccanismi biochimici sottostanti, permette di selezionare la miglior terapia esattamente per quel paziente. L’introduzione di nuovi strumenti di imaging aiuterà ulteriormente questo passaggio; per esempio, la recente introduzione dei sistemi Total Body PET permetterà di diminuire ulteriormente la dose e le tempistiche di imaging, ottenendo tuttavia maggiore quantità e qualità di dati. Tali concetti dovranno essere coadiuvati da una produzione capillare e “delocalizzata” dei radiofarmaci necessari, e questo è un compito che spetta a noi radiochimici. Esattamente come non tutte le malattie si curano con l’aspirina, ogni condizione patologica dovrà essere diagnosticata e curata in maniera specifica e “personale”.
Spenderei anche due parole su un paio di tecnologie attualmente “di moda”. Come già detto prima, nutro qualche dubbio sull’effettiva sostenibilità del concetto teranostico, principalmente per fattori logistici ed economici, ma sarei contento di sbagliarmi. In altro campo, l’utilizzo di costrutti nanoparticellari è un interessantissimo ambito di ricerca, ma fatico a vederlo come un “game changer” del prossimo futuro.
Infine, mi piacerebbe che in Medicina Nucleare si pensi a qualcosa veramente poco “di moda”: il trasferimento tecnologico e di conoscenze in paesi in via di sviluppo. È mia convinzione che molte tecniche e applicazioni mediche attualmente in voga siano state pensate esclusivamente per paesi fortemente industrializzati, particolarmente in un campo complicato come quello Nucleare. Esempi come quello di PMB-Alcen, che ha deciso di installare il loro primo prototipo di mini-ciclotrone e radiochimica nell’isola di Guadalupe (CIMGUA), sono un bell’esempio di interazione diretta con comunità con scarso accesso a queste tecnologie. (nota: Guadalupe è un’isole caraibica parte del dipartimento oltreoceano della Francia, perciò non propriamente un paese in via di sviluppo, ma ha un GDP per persona dimezzato rispetto alla Francia ( Guadeloupe – Wikipedia GDP per Capita – Worldometer (worldometers.info) )
D) Cosa apprezza della formazione scientifica e della ricerca in Australia?
La popolazione Australiana è circa 1/3 di quella Italiana, ha una economia molto resiliente ed un tasso di disoccupazione e debito pubblico basso (o percepiti come tali). Perciò si può permettere uno stanziamento di fondi per ricercatore più alto, anche se mai sufficiente nelle aspettative dei ricercatori. In realtà questa condizione crea situazioni inusuali (per un Italiano), per le quali si rendono a disposizione fondi per costruire grandi strutture e comprare strumenti aggiornati, che però sono sottoutilizzati data la mancanza di un numero congruo di utenti preparati. Questo fenomeno fa sì che l’Australia sia un forte attrattore internazionale di ricercatori preparati, e questo contribuisce ad un ambiente di ricerca globale e vario. Di conseguenza anche carriere in campo accademico e clinico possono godere di un supporto ed un respiro più ampio che in Italia.
Da un punto di vista più tecnico, l’Australia è uno dei pochi paesi occidentali che stipula nella loro regolamentazione farmaceutica una serie di “eccezioni”, facilitando perciò l’utilizzo di nuovi farmaci, specialmente nel caso di trial clinici. Estremamente riassunto, se il farmaco d’interesse non è compreso in una precisa lista (ARTG), può essere utilizzato sotto responsabilità medica e, particolare cruciale nel caso dei radiofarmaci, può essere prodotto in contesto ospedaliero senza avere una licenza per Norme di Buona Fabbricazione (altrimenti definite cGMP). Questo non vuol dire assolutamente che i farmaci utilizzati siano scadenti; la quantità e forza dei gruppi di responsabilità e comitati etici locali non permetterebbero tale eventualità. Al contrario, tali facilitazioni permettono la raccolta dei dati necessari a verificare l’utilità di un nuovo (radio)farmaco ed il miglioramento graduale dell’offerta clinica. Non di secondaria importanza, questo fa sì che molte case farmaceutiche concentrino in Australia trial clinici importanti, contribuendo ad aumentare gli investimenti esteri nel campo.
D) Pensa che sia un modello riproducibile in Italia?
R) Premesso che la storia e la cultura sono profondamente diverse, alcuni aspetti virtuosi Australiani potrebbero essere adattati all’Italia. Forse l’esempio più calzante al campo medico nucleare è l’approccio pratico alla regolamentazione farmaceutica, da cui il nostro paese potrebbe prendere qualche ispirazione. Sarebbe difficile raggiungere i livelli di finanziamento per la ricerca, e forse anche un po’ inutile, dato che non sarebbero mai sufficienti a colmare le aspettative.
D’altra parte, mi fa piacere notare che i livelli di educazione e formazione ottenibili in Italia sono fortemente apprezzati in Australia (come un po’ dappertutto all’estero); su un campo simile, mi preme precisare che la capacità di vedere oltre l’ostacolo con fantasia e passione sono ancora caratteristiche fortemente italiche, a volte culturalmente in contrasto con l’approccio Australiano (che è molto avverso al rischio), ma sempre in grado di offrire il valore aggiunto di una visione originale ed innovativa.
D) Da giovane medico nucleare, sarei lusingata ad immaginare una futura collaborazione nell’innovazione medico-nucleare salentina. Prevede un futuro rientro in terra d’origine?
R) Mi piacerebbe moltissimo rientrare il Italia, ed in particolare nel nostro bel Salento, ma lo trovo difficile, per lo meno a breve termine. Mi duole riconoscere che il sistema Italiano ha numerose difficoltà nel gestire attività complesse come centri Ciclotrone-Radiofarmacia, che è il mio principale interesse. Questa sensazione è confermata da numerose interazioni con colleghi italiani; ma mi fa anche piacere riconoscere come gli stessi colleghi riescano a tenere alto il livello dei servizi radiofarmaceutici in varie città d’Italia, dal nord al sud. Un grosso contributo è dato da un ottimo senso di collaborazione, certificato dall’esistenza del Gruppo Interdisciplinare di Chimica dei Radiofarmaci (GICR), che riunisce in sé la maggior parte dei radiochimici italiani promuovendo lo scambio di informazioni, persone ed eventi educativi. Abbiamo in Italia il gruppo di LNL-INFN ed il ciclotrone di Negrar che sono esempi di eccellenze a livello europeo nello sviluppo di nuovi radioisotopi e radiofarmaci. Mi sembra di ricordare che attorno al 2006 visitai un bel sito produttivo in via finale di costruzione a Ruvo di Puglia, che è poi diventato la splendida realtà commerciale che è attualmente ItelPharma. Perciò direi che i presupposti per fare buona ricerca su nuovi radiofarmaci e protocolli medico nucleari ci sono anche localmente. Se poi avrò la possibilità (leggi: la fortuna) di esserne coinvolto dipende solo in parte da me.
(Intervista a cura della dottoressa Alessandra Cimino)

Biographical Details
Giancarlo obtained his degree in Chemistry from the University of Pisa (Italy, 2001) and his PhD in “Innovative Biomedical Technologies” from the University of Lecce (Italy, 2004).
During PhD, he worked at IFC-CNR (Pisa, Italy) and at NIH (Bethesda, MD, USA), under the supervision of Piero A. Salvadori and William C. Eckelman, studying novel radiolabelling methods for PET tracers.
He then worked in the Clinical Chemistry environment (managing toxicology analysis laboratory, 2004-2008, University of Pisa) before returing to work in the radiochemistry field. He was Key Scientist for the EU funded “Radiochemistry On Chip” project (2008-2011) and worked as Staff Scientist at IFC-CNR (2008-2013, Pisa, Italy). During these years, he also worked in GMP facilities for the production of PET radiopharmaceuticals (Milan, Pisa), covering also the role of QC Manager.
In 2013 Giancarlo moved to ANSTO in Australia, in the role of Radiochemistry Team Leader at the Camperdown cyclotron site; from 2020, he is covering a Principal Radiopharmaceutical Scientist role at the POWH, and been appointed Fellow for the National Imaging Facility and Conjoint Associate Professor at the School of Chemistry in UNSW.
Giancarlo other roles: editorship (Nuclear Medicine and Biology, Contrast Media & Molecular Imaging), professional (Chair of RPS SIG @ ANZSNM, Board member @ ASMI).
Research Interests
Giancarlo’s research interest are focused on radiochemical development and radiopharmaceutical applications. His projects are characterized by the M3 keywords: Molecules, Methods, Machines.
Molecules
Molecular Imaging represents a set of technologies that allow following the distribution and accumulation of appropriately tagged molecules in vivo; UNSW is fully equipped for performing this type of studies through the capabilities available at BRIL. The Nuclear imaging counterpart is particularly sensitive and specific, but requires the molecule of interest to be tagged with a radioisotope; this means that an appropriate design of the structure and of its synthesis is required. Under this research topic, Giancarlo is interested in designing the modification needed to obtain a useful radiopharmaceutical, as well as exploring new ways to study the biochemical correlates of disease conditions, such as cancer, dementia, inflammation and infection.
Methods
Introducing a radioactive isotope (i.e. radiolabelling) onto a specific position in a structure is not always possible for many reasons (e.g. time constraints, stoichiometry, chemioselectivity); such capability also strongly depends on the physical and chemical characteristics of the starting radioisotope and final target structure. Under this research topic, Giancarlo investigates novel methodologies to introduce, in the most specific, mild and easy way, radioisotopes useful for Nuclear Imaging. Main interests are in 18F and 11C, but also other nuclides are investigated (e.g. radioiodines, radiometals). A particular focus is given on “novel” ways to activate reactions, such as photochemistry, electrochemistry and mechanochemistry.
Machines
Working with radioisotopes natively requires a high level of automation, to guarantee safety for the operator and the highest process reliability possible. Given the ultimate clinical interest of radiopharmaceuticals, it is crucial to setup processes that can provide such important and sometime life-saving treatments without faults. For this reason, Giancarlo has a keen interest in investigating novel ways to make automated (radio)chemistry easier, safer and more reliable. Following this topic, he is one of the pioneers for the use of microfluidic systems in radiochemistry and keeps working on this, as well as educating new generations to the implementation of diverse chemical processes (e.g. reaction, metal separation, purification, formulation) on flow systems.
Selected Collaborative Projects
Oxytocin and behaviour (Molecules). ARC-Linkage project, headed by Adam Guastella, this project is aimed at understanding the role of intranasally delivered Oxytocin in treating behavioural conditions. This outcome is realized by designing a suitable PET analogue of Oxytocin, testing its biodistribution in animal models, and translate the application into a clinical trial.
Copper and cancer (Molecules). In collaboration with Orazio Vittorio and Arvind Parmar, this project is aimed at understanding the role of Cu in cancer, and its potential value as diagnostic, prognostic and treatment tool.
The pentafluorosulfanyl group (Molecules+Method+Machines). The SF5 group is starting to gain an increasing interest in Medicinal Chemistry as an “improved” CF3 group. This opens the possibility to need, in the soon future, methods to incorporate an 18F in such functionality. In collaboration with Alison Ung, we are studying the features and synthetic methods of SF5-decorated structures, while with Luke Hunter we are investigating novel flow methods to incorporate such moiety from a fluoride source.
[18F]ESF (Methods+Machines). In collaboration with Ben Fraser and Bo Zhang, we developed a radiochemical innovation that allow an extreme simplification of the radiofluorination process, with the potential to catalyse a paradigmatic change in the production and distribution of Fluorine-18 tracers. We are currently planning the investigation of the application of this idea in real-life scenarios.
Re-mediation (Methods). In collaboration with Ben Fraser, Max Massi and Mitch Klenner, we have developed a novel method of radiofluorination that allows obtaining labelled structures that were not achievable before. Such process employs a Re-mediated mechanism and can be implemented in a fully telescoped flow approach. We are currently planning to investigate the full scope of such method, and further simplifications of it.