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Numero 2 – 2020

Scritto da Dr. Daniela Fusco Dr. Cinzia Molendini MMG Lecce

COSTRETTE A INVENTARCI UN NUOVO MODO DI ESERCITARE LA PROFESIONE

Già dall’inizio di febbraio, quando si cominciava a parlare di COVID in maniera sempre più pressante, molti di noi medici più attenti abbiamo capito subito che la vita di tutti stava per cambiare e che l’epidemia ci avrebbe sconvolti. Nessuno però immaginava che sarebbe stato così, la realtà ha superato l’immaginazione.
Dal 24 febbraio ad oggi, noi medici di famiglia non abbiamo potuto fare il nostro lavoro come eravamo abituati, abbiamo dovuto rinunciare a gran parte del nostro compito, direi quello fondamentale, che è la visita e la relativa prescrizione di accertamenti.

Abbiamo dovuto inventarci un nuovo modo per stare vicino ai nostri pazienti e allora la maggior parte del tempo lo abbiamo passato al telefono, soprattutto se il paziente aveva sintomi respiratori o simil-influenzali, ma anche per rassicurare gli ansiosi o semplicemente per rispondere a futili domande dei nostri pazienti più anziani, abituati alle nostre periodiche visite, che si sentivano semplicemente soli e abbandonati. Anche chi veniva in ambulatorio per altre problematiche non poteva fermarsi a lungo, a causa del rischio per loro e per noi. Non potevamo andare al domicilio del paziente se non a nostro rischio e pericolo, poichè inesistente è stata la fornitura di DPI.

Con alcuni colleghi abbiamo disperatamente cercato di procurarceli autonomamente, in attesa di forniture ufficiali che non sono mai arrivate, ma con risultati deludenti in quanto i pochi DPI racimolati erano certamente inadeguati alle esigenze. Abbiamo visto morire molti dei nostri pazienti anziani, non tanto per il COVID ma per quello che il Covid ha portato: l’isolamento sociale, la mancanza degli affetti e lo scopo per vivere. La stanchezza e la frustrazione si sono fatte sempre più insistenti: siamo stati inondati dalle mail quotidiane di Regione ed ASL, farraginose, fredde e spesso inutili, come se fossimo ingranaggi di una macchina che non doveva fermarsi: “Bisogna evitare assolutamente che il medico si contagi e si ammali, anche per salvaguardare la continuità delle cure e per evitare che diventi veicolo di infezione Non bisogna visitare senza DPI adeguati; le persone con segni e sintomi di infezione non devono venire in studio; occorre identificare i soggetti COVID solo su base clinica con triage telefonico perché per avere un tampone devi faticare per ore e a volte anche per giorni”.

Si è avuta la sensazione di lottare contro i mulini a vento, soprattutto quando ci si trovava davanti a pazienti in forte difficoltà che non riuscivamo ad aiutare come avremmo voluto, e ci è mancata la forza soprattutto di fronteggiare una amministrazione distante, a cui bastava ripetere che non c’erano problemi e che stavano facendo tutto il possibile ma che non ci ha mai ascoltato e che non ci ascolta nemmeno adesso. Abbiamo sperimentato la grande difficoltà di non poter sorridere a chi avrebbe tanto bisogno di un sorriso. Abbiamo dovuto reinventarci per rimanere “medico di medicina generale”, un medico che aiuta, capisce cosa fa star male, che cerca di salvarti la vita anche se non appartieni ai codici rossi, quelli dei malati più problematici. Anzi, forse, la nostra bravura è proprio qui, capire cosa c’è che non va nei codici verdi e gialli in apparenza non gravi e, quello che ci caratterizza come donne, prendersi cura dei pazienti “con animo materno”. In questo periodo le altre patologie sembravano non esistere più per la ASL, a causa del blocco dei ricoveri programmati e delle visite specialistiche, tutto era congelato ed è stato difficilissimo avere un consulto con uno specialista per dare risposte a bisogni di salute che comunque invece si presentavano. Infatti anche patologie come l’infarto, che ormai sembravano sotto controllo, sono tornate a livelli di mortalità di circa 20 anni fa.

UN NUOVO METODO DI COMUNICAZIONE

Allora ci siamo inventati un modo per scambiarsi consulti. A livello locale, con alcuni colleghi che si sono resi disponibili, si è stabilito un rapporto telefonico o tramite mail, che sarebbe auspicabile continuasse anche dopo l’emergenza. A livello Nazionale, in occasione della quinta Giornata Nazionale della Salute della Donna, il 22 aprile, è stato lanciato anche il numero verde 800.189.441 dedicato Aidm con l’obiettivo di promuovere l’informazione e i servizi per la prevenzione e la cura delle principali patologie femminili. In realtà proprio ora che la curva dei contagi sembra abbassarsi, il nostro compito di monitoraggio e assistenza sul territorio è ancora più importante, per evitare che le terapie intensive ripiombino nell’emergenza. Ovvio che un po’ di paura c’è, ma questo è il nostro lavoro. Le videochiamate hanno rappresentato un aiuto importante, abbiamo costruito una nuova routine, ma è mancato il contatto umano, perché in molti casi creare empatia va di pari passo con diagnosi e somministrazione delle cure.

In tutta questa situazione lavorativa molto problematica, soprattutto le donne MMG hanno avuto un’incombenza fuori dall’ordinario anche con la gestione della famiglia; si, perché anche noi come tutte le altre lavoratrici una volta tornate a casa abbiamo dovuto “combattere” con la quotidianità dei figli, della casa e anche della nostra salute psicofisica, pronte a rispondere al telefono in qualsiasi momento della giornata e della settimana a pazienti che erano anche preoccupati dalle notizie che venivano diffuse da TV, social e internet sulla pandemia. E’ stata una dura prova per tutti noi la fase 1, ma quello che ci aspetta nei prossimi mesi non sarà da meno, per cercare di ricominciare un’attività ambulatoriale e domiciliare degna di essere chiamata tale.

Ora piano piano stiamo cercando di tornare ad una nuova normalità, ma le parole di una collega, Federica Stella, 35 anni, medico del 118 con sede operativa a Mestre, ci riportano ad una dura realtà: “Di questo periodo non dimenticherò mai l’inversione del comportamento della popolazione nei nostri confronti. Siamo stati oggetto di violenza, bersagli dell’insoddisfazione nei confronti di una sanità non sempre all’altezza delle aspettative. Per la prima volta da quando ho cominciato raccolgo la gratitudine delle persone. Ci voleva questo virus per fargli capire che ci siamo e ci siamo sempre stati. Noi non siamo cambiati, io non voglio cambiare e spero che quando tutto sarà finito continueremo ad apparire agli occhi di tutti quelli che siamo. Non angeli, immagine retorica, ma grandi professionisti, gente che ha scelto questo mestiere perché ci crede. Come me”.

 

Dr. Cinzia Molendini

 

Dr. Daniela Fusco
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