Numero 2 – 2021
Scritto dal Dott. Salvatore Zaccaria
LA FORMAZIONE IN CARDIOCHIRURGIA IN FRANCIA, TRA FATICA ED ENTUSIASMO
Con questi miei pochi righi cercherò di raccontare la mia vita di Cardiochirurgo che ha studiato in Italia e poi, per i motivi che vi dirò, è dovuto partire all’estero per strutturare ed affinare la propria professione.
La mia storia è molto simile a quella di tanti altri colleghi medici, ingegneri, ricercatori, tecnici, ecc. che hanno lasciato il proprio Paese per andare a cercare dignità e fortuna in un’altra nazione. Lasciare il proprio Paese e trasferirsi all’estero è una scelta molto difficile e coraggiosa, che implica molte rinunce e numerose sfide da affrontare. Per noi italiani è ancora più difficile, non perché siamo poco inclini all’adattamento. Malgrado le sue problematiche, il Nostro Paese ha una ricchezza e varietà culturale senza eguali, per questo è sempre molto difficile staccarsene, difatti anche una volta lontani se ne sente sempre il forte richiamo a tornare. Le barriere linguistiche e culturali sono un elemento di notevole difficoltà, ma possono essere il carburante che permette di migliorarsi, mettendoci continuamente alla prova, in termini sportivi direi: ”se non alzi l’ostacolo non sarai in grado di saltare più in alto e non saprai mai se lo potevi saltare”.
Molte sono le ragioni che mi hanno spinto e convinto a partire. Intanto la scelta di migliorare la mia professione, in un contesto territoriale diverso dall’ Italia, perché avere esperienze lavorative in una Nazione diversa dalla propria permette di allargare le conoscenze e le capacità professionali. In Italia le condizioni lavorative specialistiche non sono incentivanti: assenza di meritocrazia, burocrazia soffocante, mancanza di insegnamento pratico e gelosia professionale, sono le cause che hanno spinto me, e tanti altri come me, a lasciare il mio Paese per emigrare all’estero. Nel Nostro Stato vi è una preparazione teorica in Medicina e Chirurgia e in tante altre branche tecniche, di altissima qualità. Molto più minuziosa e capillare, nemmeno lontanamente paragonabile a quella più scarsa di altre Nazioni, non corroborata però da un’altrettanta preparazione pratica sul campo.
Per tale motivo, i nostri medici-chirurghi sono preparatissimi sul piano teorico, ma praticamente presentano notevoli lacune formative e, per poter arrivare a colmarle impiegano, restando in Italia, molto più tempo; oppure sono costretti ad emigrare.
In questo contesto, soprattutto per le professionalità ad alto contenuto tecnico, come la mia branca (la Cardiochirurgia), l’esperienza estera può regalare l’opportunità di entrare in contatto rapidamente con metodologie più avanzate e innovative, caratteristiche che personalmente ho incontrato in Francia e in altri Paesi negli anni ’90. Al tempo stesso l’esperienza di vita a contatto con altre culture ha generato in me, e in altri come me, la necessità di “doversi far largo” in un contesto diverso, in culture diverse, aumentando la mia “flessibilità mentale” e la sicurezza in un mestiere che è già di base complesso e difficile.
La mia storia all’estero cominciò dopo la laurea in medicina e chirurgia, dopo la tesi in Cardiochirurgia (ero interno nel reparto di Cardiochirurgia della mia Università da già 4 anni prima della laurea) e dopo che il Direttore di Cattedra di Specializzazione in Cardiochirurgia mi diede in mano un indirizzo di una Clinica in Francia scritto su un biglietto. Inviandomi così dal Suo maestro di Cardiochirurgia francese. Partii quindi per Marsiglia accompagnato da un mio eterno amico e lì incontrai uno dei migliori Cardiochirurghi al mondo che, con durezza e fermezza, mi accolse “sotto le sue ali” insegnandomi le basi e non solo della cardiochirurgia. Un “tour de force”: si operava al cuore dalle 6:30 del mattino alle 20:00.
Sarei dovuto restare, secondo accordi presi, 6 mesi e invece rimasi in quell’ospedale per un anno. Mangiavo e dormivo in Clinica, e alla fine del mio “stage” il Direttore della Cardiochirurgia di Marsiglia, vedendo forse in me un valido elemento, prese accordi con il Suo Maestro Primario a Parigi e mi mandò da lui.
Un vero luminare della Cardiochirurgia, inventore di nuove tecniche e di nuove protesi che tutt’ora si impiantano nei pazienti valvolari.
Lì restai un altro anno a contratto e poi venni assunto definitivamente come assistente. Andai avanti nella carriera e restai altri 8 anni.
Vivevo in ospedale, tra le sale operatorie di Cardiochirurgia e la terapia intensiva, nel secondo ospedale più grande d’Europa (16.000 posti letto).
Ho avuto quindi la possibilità di incontrare chirurghi provenienti da tutto il mondo, di fare ricerca e soprattutto di operare migliaia di pazienti provenienti da varie nazioni, spesso italiani, e con le patologie cardiache più complesse essendo divenuto nel frattempo un Cardiochirurgo “primo operatore”.
Ovviamente tanti erano i concorrenti che pretendevano quel posto, ma un italiano che va all’estero è una persona che si annienta come persona e vive solo in funzione dello studio e del lavoro. Avendo alle spalle una preparazione teorica italiana di tutto rispetto non ha rivali, arrivando poi anche ad insegnare ai Cardiochirurghi più giovani.
Ho anche messo su famiglia, moglie anestesista del mio paese e un figlio (Remo) nato nello stesso ospedale. Il piccolo iniziò dopo poco a sgambettare e a muovere i primi passi proprio nelle corsie dell’Ospedale. Vivemmo tutti e tre per altri 4 anni all’interno dell’ospedale circondati da infermieri, medici e tecnici che ci avevano accolto come se fossimo della Loro famiglia, e come se fossimo da sempre francesi. L’idea era comunque sempre quella di tornare in Italia, ma passavano gli anni, cominciavamo a parlare ormai correntemente un’altra lingua e a discutere tra noi in francese. Vedevamo nostro figlio crescere e sapevamo che se avesse iniziato la scuola lì sarebbe stato molto difficile tornare in Italia.
ALL’ESTERO PER CERCARE DIGNITA’ E FORTUNA
Ero triste per questo: studiavo e lavoravo. Il mio lavoro rappresentava per me il più bel mestiere del mondo, avevo un ottimo stipendio, ma l’idea era sempre quella di tornare. Non volevo che le mie generazioni future fossero cittadini di un paese diverso dal mio.
Potete immaginare gli enormi sacrifici fatti, come tutti quegli italiani che hanno lasciato l’Italia per andare a vivere e lavorare lontano. Lunghi viaggi, treni, stazioni, dormire e mangiare dove si poteva e quando si poteva.
Passavano gli anni, ma le notizie dall’Italia erano sempre pessime: finanziarie che bloccavano i concorsi, crisi economiche, colleghi medici e chirurghi che non riuscivano a trovare lavoro, etc. Fino a quando, alla fine degli anni ’90 e alla soglia dei miei 40 anni, si aprì il concorso per la creazione della Cardiochirurgia proprio nella mia città: Lecce. Incredibile! Si erano “allineati gli astri”, un evento unico, irripetibile; di cardiochirurgie nuove in Italia se ne creano forse una ogni 30 anni, nella Mia città poi…. Un vero colpo di fortuna ed ebbi quindi la possibilità di vincere il concorso e rientrare dopo quasi 10 anni nel mio paese. Una felicità immensa poter riportare la mia famiglia in Italia ed operare al cuore la Mia gente, i miei conterranei.
Ma nella stragrande maggioranza dei casi, per i nostri connazionali che vanno all’estero per affinare le proprie tecniche, non finisce purtroppo così…
Il resto è mia storia più recente: due altri figli (Valentina e Andrea), migliaia di interventi al cuore praticati nel mio Ospedale di Lecce e in altre parti del mondo, in collaborazione con i reparti di Cardiologia di tutta la Puglia, in particolare del Salento, e con il reparto di Emodinamica di Lecce. Interventi tra i più complessi spesso eseguiti in urgenza ed emergenza; attuati con le tecniche più innovative anche in mini-invasiva. Creando un forte gruppo con colleghi Cardiochirurghi, anche giovani, Cardiologi, Cardioanestesisti, Infermieri e tecnici.
Il problema per chi vuole intraprendere la strada della Scuola di Medicina è che, già da ragazzo, deve emigrare verso le regioni del Nord per poter studiare. Già a 18 anni deve andar via. L’unica Facoltà di Medicina e Chirurgia in Puglia era a Bari (ora esiste anche a Foggia), una sola Facoltà per 5 milioni di abitanti.
Il problema poi si acuisce dopo la Laurea perchè in Italia, una volta laureati, non vi è la possibilità di fare ricerca (per chi vuole intraprendere quella carriera) e non vi è la possibilità immediata di poter imparare quei mestieri ad alto contenuto tecnico. Per cui il giovane tenace, volenteroso e intraprendente, con una Laurea e una grande voglia di progredire nel proprio campo è spesso costretto ad emigrare. Una volta partito, se ne ha la voglia e le capacità, un giovane medico o ricercatore, viene subito accolto nel tessuto formativo di quei Paesi che hanno investito molto di più nella formazione e nella ricerca. Paesi che ne hanno compreso l’importanza e che hanno investito su questo.
Una volta formato poi, il giovane medico o ricercatore, si ritrova in quell’età tra i 30 e 40 anni in cui ha probabilmente formato una famiglia o ha intenzione di formarla ed ha quindi bisogno di lavorare, mettendo a frutto tutto ciò che, con enormi sacrifici, ha costruito. Il nostro Paese invece, per via dei concorsi sempre rari, delle crisi che durano da decenni con tagli continui alla Ricerca, alla Sanità, all’Università e in tutto l’ambito scientifico, non riesce a far rientrare quelle menti ormai formate. A differenza degli altri Paesi che invece gli offrono un decoroso posto di lavoro (con remunerazioni di tutto rispetto) gratificandolo sotto tutti gli aspetti: professionale, sociale ed economico. Ed ecco che il cerchio si chiude e le splendide menti, partite in cerca solo di affinare la loro professione, non riescono più a rientrare nel loro “Bel Paese” e finiscono purtroppo la loro vita professionale in altre nazioni.
D’altronde permettetemi una velata polemica: basti vedere come vengono trattati quei pochi “fortunati” che sono riusciti e diventare ricercatori nell’Università italiana, con stipendi che sfiorano il ridicolo. Ecco perchè le splendide menti italiane (spesso del Sud) restano all’estero. A questo si aggiunge che, restando per anni lontani dall’Italia, si perdono i contatti con il “mondo italiano”, fondamentale per poter sperare di vincere un concorso pubblico. L’Italia è l’unico Paese europeo ad avere un saldo negativo fra ricercatori in uscita e in entrata (-13%), ogni anno… dati non rassicuranti. Sappiamo bene quanto siano scarsi gli investimenti per la ricerca in Italia. Questo ci colloca negli ultimi posti in Europa, seguiti solo da: Bulgaria, Irlanda e Romania. Il problema italiano è che non vi sono investimenti sufficienti per la Ricerca e per le “Alte Professionalità”. Negli anni si è assistito ad un progressivo decremento delle risorse e degli investimenti e ad un progressivo livellamento, salvo rare eccezioni, verso il basso delle “Alte Professionalità”, tanto a cosa serve la ricerca….
Il sistema formativo teorico italiano è di altissimo livello, ma è completamente “scollato”, in particolare al Sud, dal mondo lavorativo ancora legato ai pochi concorsi pubblici.
Dare la possibilità ad un ragazzo del Sud di poter studiare e lavorare nel proprio territorio è un’opportunità senza uguali. La Scuola di Medicina e Chirurgia diverrebbe per il Salento una grande opportunità di sviluppo culturale, significherebbe non solo evitare che molte nostre “giovani e avide menti” siano costrette ad emigrare, ma anche ad attrarne altre che arricchirebbero ulteriormente la cultura di questa splendida terra salentina. La creazione della Scuola di Medicina nel Salento servirebbe anche a ridurre l’enorme divario che ancora esiste tra Nord e Sud, basti guardare quante Università e Facoltà di Medicina esistono nel Nord Italia e quante ne esistono al Sud, per una popolazione più o meno uguale. L’unica arma che abbiamo, per distinguerci dal resto del mondo e per potere competere sono: la Cultura, la Ricerca e un valido insegnamento. Questo era stato ben capito e attuato dai Nostri Avi che ci hanno regalato e lasciato un immenso tesoro di insegnamenti, di Cultura e di opere d’Arte.

Direttore f.f. U.O. Cardiochirurgia. P.O. Vito Fazzi – Lecce