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Numero 2 – 2020

Scritto dal dott. Lorenzo Tonialini – NI Medico Spec. Ematologia. A.O. Cardinale G.Panìco – Tricase e Giuliana Metrangolo -Medico di Continuità Assistenziale – Lecce

ABBIAMO RISPOSTO SENZA ESITAZIONE ALLA RICHIESTA DI AIUTO DI TANTI COLLEGHI

Da un giorno all’altro tutto è cambiato, le nostre vite erano cambiate, qualcuno lo ha percepito prima, qualcuno dopo, ma tutti alla fine ci siamo resi conto che stava accadendo qualcosa di inusuale, di inaspettato e a tratti spaventoso, un evento sproporzionato e nuovo. E così ti chiedi cosa puoi fare in una situazione come questa, come poterti rendere utile, come e dove sfruttare al meglio le tue competenze. Andrà tutto bene solo se andrà bene per tutti, è uno slogan che abbiamo sentito spesso ultimamente. E noi, due medici, ci siamo chiesti cosa potessimo fare per far sì che andasse bene per tutti. Così abbiamo deciso di partire, di metterci a servizio, di offrire le nostre esperienze lì dove potessero portare sostegno, aiuto, sollievo: abbiamo risposto ai diversi bandi indetti a marzo dalle ASL delle aree in crisi e dalla Protezione Civile e siamo partiti, io per Piacenza e mia moglie Giuliana per il Piemonte, in provincia di Cuneo, precisamente a Verduno. Entrambi destinati ad unità COVID create appositamente per la gestione emergenziale dei pazienti affetti da polmonite da SARS-COV2. Il rischio del contagio e della malattia non ha mai rappresentato un freno per noi, sapevamo che il pericolo era reale, ma lo era per noi come per tutti i colleghi già in servizio, ed il desiderio di aiutarli sovrastava qualunque preoccupazione.

Piacenza è stata la provincia dell’Emilia-Romagna più colpita dal virus, probabilmente per vicinanza geografica con la Lombardia, con un elevato numero di persone che si spostano frequentemente da un lato all’altro del Po (confine naturale tra le due regioni). A marzo gli interventi del 118 sono stati mediamente il doppio rispetto all’anno precedente, e nelle prime due settimane del mese il Pronto Soccorso ha dovuto gestire fino ed anche oltre 100 pazienti al giorno con necessità di ricovero ospedaliero per gestire le complicanze legate all’infezione da COVID 19. L’ospedale ha risposto aumentando i posti in terapia intensiva, aumentando le unità di degenza ordinaria per il trattamento dei pazienti; alla rapida saturazione dei posti letto in Rianimazione, la Regione ha cominciato ad organizzare trasferimenti c/o le unità di Terapia Intensiva delle altre province, per poter permettere di continuare a trattare al meglio i pazienti.

VIAGGIO ALLUCINANTE IN UNA AUTOSTRADA DESERTA

Il giorno della mia partenza viaggiare in autostrada durante il lock-down è stata un’esperienza singolare, correre per chilometri senza incontrare altre autovetture ma solamente qualche sporadico autotreno, gli autogrill aperti ma deserti e lo straordinario silenzio hanno reso il viaggio estremamente surreale. Al mio arrivo a destinazione, a fine marzo, negli ospedali della provincia di Piacenza erano state allestite 7 unità di degenza ordinaria per il trattamento dei pazienti affetti da COVID 19, per un totale di oltre 140 posti letto, oltre ad un ospedale da campo gestito da militari; io ho prestato servizio c/o l’unità di Emergenza 7, l’ultima per nascita, gestita da colleghi ematologi e nefrologi, con 18 posti letto e la disponibilità di 10 caschi per ossigeno-terapia con CPAP. Al mio arrivo il peggio stava, fortunatamente, passando, e nei giorni a seguire ho potuto assistere al lento calo della curva degli infetti e dei pazienti con necessità di assistenza respiratoria ad alti flussi. Questo non vuol dire che la situazione non fosse grave, ma soltanto che le misure messe in atto dall’ospedale per l’assistenza e dal Governo (distanziamento, isolamento, lock-down…) stavano portando i loro frutti.

Parlando con i colleghi, con i pazienti ed i loro familiari ho però ben compreso la portata dell’evento, il dramma di aver perso il proprio caro senza poterlo salutare, vedere, senza poter celebrare le esequie, talvolta perdendone le tracce per giorni sino alla drammatica chiamata per la comunicazione del decesso, è un’esperienza occorsa in troppe famiglie di Piacenza. Per lo più i pazienti affetti da COVID 19 vanno incontro ad un quadro di insufficienza respiratoria con ipossiemia ed ipocapnia, restando vigili e lucidi sino agli stadi più avanzanti di malattia, spesso rendendosi conto di quanto stia accadendo al loro fisico sino al termine del percorso, impossibilitati a vedere i propri cari o a parlargli al telefono a causa dei dispositivi di ventilazione. Quando al pomeriggio, terminato il giro visite e le correzioni terapeutiche, terminato il giro di telefonate ai parenti per aggiornarli sullo stato clinico del malato, iniziavamo a fare videochiamate tramite tablet tra i pazienti ed i familiari, vedere le famiglie riunite ad attendere la telefonata del nonno, del papà, del marito o della moglie, della mamma, della nonna, e salutarsi, aggiornarsi, potersi vedere e riconoscersi, poter accertarsi in maniera diversa dello stato di salute del parente era un momento di estrema commozione, per tutti, me compreso.

Mia moglie è partita invece con la Protezione Civile; viaggio in treno da Lecce a Roma, altrettanto surreale in carrozze quasi deserte, con estremo distanziamento fisico tra i pochi passeggeri. Tampone naso-faringeo e breve riunione all’arrivo a Roma, comunicazione della destinazione Piemonte e il giorno successivo volo militare per l’aeroporto di Torino e da qui distribuzione degli incarichi c/o i vari Presidi della regione. A Verduno vi è un ospedale appena terminato ed inaugurato appositamente per l’emergenza COVID, in cui erano destinati i pazienti in convalescenza post fase acuta dell’infezione ma con tampone ancora positivo. I pazienti necessitavano spesso di adeguamento della terapia cronica, di lento svezzamento al supporto d’ossigeno e di monitoraggio per insorgenza di complicanze tardive. Anche qui, seppur i pazienti fossero in grado di telefonare a casa, il momento della videochiamata (spesso di difficile gestione autonoma da parte del paziente per età avanzata e scarsa propensione ai nuovi mezzi tecnologici) era un momento di estrema empatia e sintonia con le emozioni dei familiari e del paziente, la loro preoccupazione ed apprensione, la loro gioia nel vedere il loro caro in buono stato.

Seppur il nostro contributo non è stato fondamentale, è stato però necessario: necessario per noi, per sentirci utili, in Servizio, per aumentare le nostre competenze, per permetterci di vedere da vicino questi malati, questa patologia, la gestione amministrativa e clinica di una pandemia; necessario per i pazienti, che hanno potuto avere un miglior supporto medico, perché un’equipe medica ben fornita in numeri e competenze lavora in modo migliore e più completo per il bene del malato; necessario per i colleghi, spesso esausti da un eccessivo carico di lavoro talvolta inoltre gravato da un senso d’impotenza per l’assenza di possibilità terapeutiche, colleghi che ci hanno accolti con benevolenza, amicizia e grande spirito di collaborazione, permettendo di inserirci rapidamente e proficuamente nel lavoro quotidiano di gestione del Reparto. Le nostre reticenze iniziali alla partenza si sono completamente dissipate nel corso del nostro lavoro, e siamo tornati certamente più ricchi ed anche entusiasti di fare un lavoro a tratti estremamente soddisfacente e generoso.

 

dott. Lorenzo Tonialini – NI Medico Spec. Ematologia. A.O. Cardinale G.Panìco – Tricase e Giuliana Metrangolo -Medico di Continuità Assistenziale – Lecce
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