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PUNTARE SU CRITERI DI EFFICACIA, UTILITA’ E VALORE

La complessità clinico-assistenziale è dimensione propria del fine vita, ambito in cui risulta elevato il rischio di proporre interventi futili o sproporzionati. Al fine di ridurre la futilità e la sproporzionalità, gli interventi proposti dovranno rispondere a obiettivi chiari e condivisi, misurati su prognosi e performance status del paziente, a criteri di efficacia, utilità e valore.

L’insidioso “decision-making” nella complessità del malato affetto da malattie croniche in fase avanzata si affronta con l’ausilio dell’analisi multidimensionale dei bisogni e di strumenti di assessment validati e richiede tanta flessibilità, adattabilità e apertura mentale. L’alta prevalenza di dolore e fragilità nei malati affetti da patologie progressive impone agli specialisti d’organo e ai medici di medicina generale di affinare le proprie capacità predittive e di adottare strategie decisionali in grado di adattarsi alle diverse traiettorie di malattia per migliorare la qualità del fine vita e garantire ai propri pazienti una buona morte. Una recente revisione sistematica definisce 11 criteri per cui una morte si possa definire buona (Tabella 1).

La gestione di tale complessità appare come una sfida, caratterizzata da elevato rischio di errore, ovvero di proporre e somministrare interventi, siano essi indagini diagnostiche o trattamenti, che risultino futili. 

Fornire una chiara definizione di futilità in ambito medico risulta complicato: molteplici sono i punti di vista e, di conseguenza, le definizioni che compaiono in letteratura. Un intervento clinico può essere considerato oggettivamente futile in relazione alla probabilità di consentire il raggiungimento di un predeterminato obiettivo, ovvero qualora la possibilità di raggiungimento dell’effetto desiderato sia minima. Un intervento clinico si può definire come sproporzionato sulla base dei suoi obiettivi, della sua efficacia, della sua utilità e del suo valore. Prima di tutto occorre definire obiettivi chiari e condivisi con il paziente e comunicati al caregiver. È sulla base di tali obiettivi che potranno essere definite l’efficacia, l’utilità e il valore dell’intervento. In particolare, in relazione al paziente anziano, spesso ricoverato nei reparti di medicina interna e affetto da malattie non-oncologiche in fase avanzata, la definizione degli obiettivi non può che passare dalla considerazione dello stato funzionale e del grado di fragilità (vedi Figura 1). Una volta chiarito l’obiettivo, si potrà scegliere un intervento efficace per il suo raggiungimento, compito che spetta prettamente al professionista sanitario. Il raggiungimento dell’obiettivo dovrà inoltre risultare utile per il paziente e quindi garantire dei benefici a lui o a persone intorno a lui. Infine, oltre che utile, il raggiungimento dell’obiettivo dovrà essere di valore, importante per il paziente. Tale valore è un parametro soggettivo e non può che essere definito unicamente dal diretto interessato. In Figura 2 viene proposto un algoritmo per il processo decisionale riguardante il giudizio di futilità su un intervento medico.

Distinzioni importanti

Per capire pienamente la situazione clinica del paziente, occorre distinguere alcune condizioni della patologia per valutare la natura della malattia, il trattamento e il risultato clinico. Gli aspetti etici di un caso, spesso dipenderanno a loro volta, da una chiara comprensione di tali condizioni.

La malattia. Le condizioni possono essere: 

  • Acute (rapido inizio, sintomi gravi, breve decorso) o croniche (decorso persistente, di solito progressivo, per un lungo periodo); 
  • Critiche o urgenti (che causano immediate, serie e irreversibili invalidità funzionali, compresa la morte, a meno che non si inizi subito il trattamento) o non critiche o non urgenti (lentamente progressive, anche se serie, ma non a rischio immediato per la vita del paziente);
  • Reversibili (il cui decorso può essere cambiato da una terapia decisiva ed efficace) o irreversibili (si riescono a gestire i sintomi e le crisi acute ma il decorso della malattia conduce progressivamente alla morte).

Il trattamento. Le modalità di intervento possono essere:

  1. Curative (una terapia come un ciclo di antibiotici per una semplice infezione o un intervento chirurgico per ernia, correggerà definitivamente la condizione patologica) o di sostegno (alleviano i sintomi o riducono il deterioramento durante il decorso di una malattia cronica e irreversibile come il diabete);
  2. Gravose/pesanti da sopportare (causano effetti collaterali come dolore, trasformazione dell’aspetto fisico e invalidità, come la chemioterapia nelle malattie tumorali) oppure non gravose (è improbabile che abbiano percettibili o seri effetti collaterali come una moderata attività fisica per l’obesità di medio grado o il trattamento antibiotico per un’infezione acuta della vescica).

Gli obiettivi dell’intervento terapeutico differiscono in relazione a queste condizioni. Un comune problema etico sorge quando una persona con una malattia cronica, non urgente, irreversibile (come la sclerosi multipla) viene a essere colpita da un problema acuto, urgente e reversibile (come l’infarto del miocardio). Gli scopi dell’intervento relativi alla seconda condizione devono essere valutati alla luce di quelli della prima. Per esempio, un trattamento definitivo ed efficace come la rianimazione cardiopolmonare su un malato di cancro in fase terminale può non fare altro che prolungare in modo doloroso il processo del morire. Nel caso di un paziente con la meningite batterica, gli obiettivi dell’intervento medico (la terapia antibiotica) appaiono evidenti: il paziente ha un problema medico acuto, critico e reversibile, che può essere curato facilmente con un ciclo di antibiotici. Tuttavia, cambiando alcuni fatti medici del caso, gli obiettivi dell’intervento possono essere diversi. Per esempio, lo stesso paziente con la meningite fosse anche un malato oncologico terminale con malattia metastatica non sarebbe così ovvio lo scopo di fermare una condizione acuta e letale. 

Il criterio di proporzionalità

Questo fondamentale criterio etico permette di classificare un trattamento come proporzionato o sproporzionato, sancendo l’obbligo morale di attuarlo (iniziarlo o proseguirlo) se proporzionato e, viceversa, di non iniziarlo o proseguirlo se sproporzionato. Questo criterio, presente in molte visioni bioetiche come criterio “oneri/benefici” (burden/benefits), è esplicitamente citato anche nei codici deontologici (art. 16 Codice di deontologia medica; art. 25 del codice deontologico dell’infermiere) , oltre che nell’art 2, comma 2 della legge 219/17 (“Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. omissis…). 

I quattro fattori che determinano la proporzionalità sono: le buone probabilità di successo del trattamento ipotizzato, l’attesa di incremento della quantità e qualità della vita indotte dal trattamento e il basso peso degli oneri (globalmente intesi come oneri fisici, psichici ed economici) correlati ad esso. Viceversa, un trattamento che non prospetta rilevanti probabilità di successo o significativi incrementi della quantità o qualità della vita e che è gravato da alti oneri, risulta sproporzionato. Quando si prende in mano la dura pietra della proporzionalità di un trattamento è bene essere pienamente consapevoli che questi quattro fattori hanno quasi sempre una duplice natura: ossia, sono sia oggettivi che soggettivi. Infatti, la probabilità di successo e l’attesa di incremento della quantità di vita (sopravvivenza) ha sia una natura oggettiva ricavabile da studi comparativi condotti su popolazioni di malati trattati e non trattati, sia una valenza soggettiva perché il valore del successo del trattamento o dell’incremento della sopravvivenza sono assegnati dal malato stesso in base alle sue concezioni valoriali e biografiche. Anche la qualità della vita, pur avendo una componente oggettivabile sotto forma di dipendenza funzionale e di altri parametri, ha una natura soggettiva assolutamente prevalente. Infine, gli oneri, soprattutto economici, possono esseri oggettivati con calcoli o stime, ma hanno una valenza soggettiva di gran lunga prevalente (il peso degli oneri psico-fisici che il malato dovrà sopportare in prima persona). L’uso corretto del criterio di proporzionalità richiede quindi un’attenta razionalità per la gestione di entrambi gli aspetti oggettivi-soggettivi e una aperta condivisione con il malato (Tabella 2).  In conclusione si può quindi comprendere come la valutazione definizione di cosa sia utile o futile e proporzionato o sproporzionato sia il risultato di un bilanciamento tra differenti punti di vista e differenti aspetti della cura propri sia dei professionisti sanitari (elementi oggettivi) che dei pazienti e delle loro famiglie (elementi soggettivi), e come tale definizione risulti notevolmente dinamica e richieda necessariamente una rivalutazione lungo il percorso assistenziale, potendo le condizioni cliniche ed esistenziali cambiare nel tempo.

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Bibliografia

  • LE CURE PALLIATIVE NEL MALATO INTERNISTICO: FOCUS SULLE MALATTIE CRONICHE IN FASE AVANZATA Documento di consenso intersocietario della Società Italiana di Cure Palliative (SICP) e della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) 2022
  • Zaman M et al. What would it take to die well? A systematic review of systematic reviews on the conditions for a good death. Lancet Heal. Longev. 2, e593–e600 (2021).
  • Jox RJ et al. Medical futility at the end of life: The perspectives of intensive care and palliative care clinicians. J. Med. Ethics 38, 540–545 (2012).
  • Legge n. 219 del 22 dicembre 2017. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.
  • L. Orsi, I confini fra etica e medicina (2° parte) Rivista italiana di cure palliative 2019; 21: 143-148

Jonsen, Etica CLinica. Un approccio pratico alle decisioni etiche in medicina clinica. Quinta edizione. Mc Graw-Hill,  2003

Dr.ssa Laura De Filippo

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