Numero 3-2021
Scritto dal dott. Alberto Tortorella, Medico-legale, e dal dott. Salvatore Silvio Colonna, Anestesista-Rianimatore)
L’ANESTESIA GENERALE: DALLA PRIMA VALUTAZIONE FINO AL CONSENSO INFORMATO
L’anestesia generale è una procedura che consta della successione di diverse fasi che possono essere così sintetizzate: valutazione pre-anestesiologica, pre-anestesia o premedicazione, anestesia propriamente detta ed osservazione post-operatoria sino all’affidamento del paziente al reparto di provenienza.
La valutazione pre-anestesiologica viene di norma effettuata in regime di “pre-ricovero” e prende in considerazione elementi anamnestici patologici, i dati dell’obiettività clinica, le indagini strumentali e di laboratorio. La valutazione è rapportata al tipo d’intervento e consente la stratificazione del rischio (cosiddetta Classificazione ASA). Vengono altresì considerate eventuali condizioni di intubazione difficile (test di Mallampati), la previsione di trasfusione ematica, la prescrizione di profilassi anti-tromboembolica, l’indicazione di una pre-anestesia o premedicazione a letto del malato nell’immediatezza dell’intervento chirurgico, l’eventuale profilassi antibiotica. Tale fase si conclude con il colloquio informativo dedicato all’acquisizione del cosiddetto “consenso informato”, vale a dire ad ottenere una consapevole manifestazione di volontà del paziente che, in possesso di tutte le notizie indispensabili per la decisione, sottoscrive il consenso (o il rifiuto) alla procedura anestesiologica le cui modalità (anestesia generale, locoregionale o mista) viene condivisa con il paziente.
Brevissima parentesi merita l’eventualità del rifiuto che, proprio per l’abbandono del percorso di cura che esso comporta, impone una ancor più dettagliata informazione circa le conseguenze ed i rischi che ne derivano, da annotare ancor più dettagliatamente nella sezione riservata all’informazione; ed, al momento del congedo dell’assistito rinunciatario, la redazione di una altrettanto dettagliata relazione (indirizzata al paziente stesso ma soprattutto al Medico di Medicina Generale) dalla quale si evincano chiaramente il percorso di cura programmato, i motivi del rifiuto e i suggerimenti circa eventuali alternative o, comunque, le prescrizioni di tutto quanto è necessario nell’interesse della vita e della salute del paziente.
La pre-anestesia o premedicazione consiste nella somministrazione di farmaci , nel reparto di degenza, a scopo ansiolitico ed eventualmente anche vagolitico.
L’anestesia , nella modalità “generale”, consta di tre fasi (induzione-mantenimento e risveglio) che si svolgono interamente nel blocco operatorio.
La fase di induzione, similmente alla fase di decollo aereo, è particolarmente critica perché consiste nell’esecuzione, simultaneamente e/o in rapida sequenza, di procedure particolarmente delicate:
- la somministrazione dapprima di farmaci a carattere ipnotico-analgesico capaci di indurre un idoneo piano anestesiologico nell’ambito di 1-2 minuti; e successivamente di farmaci paralizzanti la muscolatura scheletrica (curari) al fine di favorire l’intubazione oro-tracheale e, successivamente, le procedure chirurgiche ;
- la ventilazione manuale del paziente prima dell’intubazione e poi il collegamento al respiratore meccanico;
- il monitoraggio dei parametri vitali ed il pronto intervento correttivo in caso di alterazioni.
Un caso eclatante
Maria (nome di fantasia) è una collega neurologa che qualche anno prima, in un blasonato ospedale del Nord Italia, era stata sottoposta a mastectomia. L’evoluzione favorevole della patologia oncologica la induce a programmare un intervento di ricostruzione mammaria nello stesso Ospedale, rivolgendosi a colleghi nei quali riponeva -giustamente, come vedremo- massima fiducia.
Dopo la valutazione pre-anestesiologica in regime di pre-ricovero, Maria si ricovera un giorno del dicembre 2017 per il programmato intervento chirurgico. A scopo sedativo-ansiolitico, già in reparto le vengono somministrate 20 gx di diazepam, pari a 4 mg; dopo circa un’ora viene condotta nel blocco operatorio dove inizia la fase di “induzione” dell’anestesia.
A tal fine, previa prescrizione dell’anestesista presente in sala, l’infermiera di anestesia somministra per via endovenosa 3 ml di una soluzione contenuta in una siringa sulla quale era stata apposta una etichetta arancione che riportava la dicitura “MIDAZOLAM 1 mg/ml”; mentre l’anestesista, rassicurante nei confronti della collega-paziente comunicava a Maria “ti stiamo somministrando 3 mg. di midazolam”. Midazolam è una benzodiazepina utilizzata nell’induzione dell’anestesia come farmaco singolo o, più spesso, in associazione con altri farmaci. La sua attività ipnotica è strettamente correlata alla dose somministrata.
A causa di quello che è accaduto subito dopo la somministrazione del midazolam, non è dato sapere quale fosse il programma anestesiologico. Ma è certo che in considerazione dell’età della paziente (49 anni), del suo peso corporeo (circa 60 kg.) e della dose di midazolam somministrata (appena 3 mg, corrispondente a 0.05 mg/Kg peso corporeo), è ragionevole ritenere che l’induzione dell’anestesia sarebbe stata completata con altro farmaco induttore (ad es. propofol) e con farmaci di neuroleptoanalgesia (fentanil e deidrobenzoperidolo), prima della somministrazione del bloccante neuromuscolare o curaro.
Immediatamente dopo la somministrazione di 3 ml della soluzione contenuta nella siringa etichettata come “midazolam” nella concentrazione di 1 mg/ml, insorge una sintomatologia che Maria, rimasta perfettamente cosciente, potrà poi riportare in maniera dettagliata, corredando la narrazione con il ricordo di eventi (stampante dell’ ECG non funzionante) che troveranno riscontro anche nelle testimonianze degli astanti.
È da sottolineare che la dose di midazolam iniettata (3 mg, pari a 0.05 mg/kg di peso corporeo) avrebbe potuto determinare una blanda sensazione ma mai neppure una minima depressione respiratoria o cardio-circolatoria.
Tali elementi, associati al lucido e particolareggiato racconto dell’esperienza vissuta dalla paziente che dimostra non soltanto la perfetta conservazione dello stato di coscienza dopo la somministrazione del farmaco midazolam, ma anche l’assenza di una pur minima amnesia anterograda, costantemente e caratteristicamente associata alla somministrazione di benzodiazepine, anche a basse dosi, inducono ad escludere categoricamente che sia stato effettivamente somministrato il midazolam.
La medesima certezza ha manifestato l’Anestesista che, pur disorientato dalla imprevedibilità della catastrofe sintomatologica insorta in quel momento, intervenne in maniera tempestiva ed appropriata, sì da salvare la vita della paziente e dispose l’invio di un campione di sangue al laboratorio di tossicologia che escluse la presenza di midazolam mentre era rilevabile quella del diazepam somministrato n precedenza. Purtroppo il laboratorio non era attrezzato per la ricerca dei curarici.
La successione dei sintomi così ben descritti dalla stessa paziente, infatti, è compatibile con la somministrazione, a paziente cosciente, di un bloccante neuromuscolare (curaro), farmaco che verosimilmente faceva parte del piano anestesiologico programmato dal Medico Anestesista come farmaco da utilizzare dopo l’abolizione dello stato di coscienza e prima dell’intubazione tracheale.
In letteratura e nei manuali abitualmente non sono riportate narrazioni dei pazienti dopo somministrazione di bloccante neuromuscolare in condizioni di piena coscienza. Lawrence (Farmacologia Clinica -Piccin editore, 1976) ne riporta un paio, una delle quali è particolarmente agevole da ricordare per l’ironia del paziente.
“È … indispensabile assicurarsi che nel corso dell’intervento chirurgico il paziente curarizzato non riacquisti conoscenza. Non si tratta di un pericolo puramente teorico, come risulta dall’esperienza di un anestesista che visitando una sua paziente il giorno successivo all’intervento rimase dolorosamente stupito sentendosi dire in tono ironico: <<Io non avrei mai pensato che voi medici foste pagati tanto male>>; durante l’intervento egli aveva discusso con un suo collega della insufficienza del suo trattamento economico …” (D. R. Laurence – Farmacologia clinica – Piccin editore, 1976).
Cosicché, quanto riportato da Maria è perfettamente compatibile con quanto ha ipotizzato lo stesso Anestesista presente in sala operatoria. La somministrazione di curaro ha determinato paralisi di territori muscolari, prima parcellari e poi progressivamente sempre più estesi, sino ad una paralisi completa di tutti i muscoli scheletrici, ed in tale incalzante progressione si sono sovrapposti tentativi disperati di contrazione muscolare da parte di Maria, percepiti dalla stessa come fascicolazioni e descritte dall’ Anestesista come clonie.
Dal racconto della paziente : “Mi veniva detto che mi sarebbe stato somministrato un bolo di midazolam. A seguito di ciò, immediatamente, avvertivo una scarica elettrica che mi attraversava tutto il braccio destro giungendo sino al collo: subito accusavo diplopia, astenia diffusa, avvertivo la perdita completa delle forze tanto da non riuscire a proferire alcuna parola per manifestare le sensazioni che avvertivo e quindi chiedere aiuto. In tale situazione ho cominciato ad avvertire dei movimenti muscolari lievi, brevi, come delle fascicolazioni o brevi spasmi, sino ad una paralisi muscolare completa che però lasciava del tutto integri il mio udito e la mia coscienza”.
L’ Anestesista così descrive l’evento: “Vengono somministrati e.v. 3 mg. di midazolam, cui seguono clonie, crisi ipertensiva con tachiaritmia seguita da fibrillazione ventricolare, arresto respiratorio. Si ventila con ossigeno al 100%. Massaggio cardiaco esterno (MCE) . Intubazione oro-tracheale seguita da ventilazione meccanica. Si somministra propofol 60 mg (farmaco ipnotico). Amiodarone ev. Graduale normalizzazione del ritmo cardiaco e dei valori pressori. Sensorio integro. Non deficit neurologici. La paziente viene quindi estubata”.
Maria ricorda, inoltre, il massaggio cardiaco esterno (MCE) e poi più nulla – evidentemente per la somministrazione di propofol, potente ipnotico- sino a dopo l’estubazione. Quanto successo tra la somministrazione del farmaco ritenuto essere midazolam ed il MCE viene vissuto con forte angoscia da Maria perché testimone impotente dello stato di concitazione e delle imprecazioni dei presenti a fronte della situazione critica imprevista, oltreché delle manovre – compreso il MCE- praticate. A ulteriore riprova della perfetta lucidità mentale, proprio come per la storia dell’anestesista di Laurence, Maria riferisce una frase ascoltata da uno dei presenti (“la stampante del monitor non funziona”); il che troverà piena rispondenza nelle testimonianze dei presenti.
Il monitoraggio successivo delle condizioni cliniche di Maria evidenzia una insufficienza ventricolare sinistra acuta. I cardiologi formulano diagnosi di Sindrome di Tako-tsubo , (nota anche come “broken heart syndrome” o “stress cardiomyopathia”) con mid ventricular ballooning; sindrome che Maria ha evidentemente sviluppato a causa dell’abnorme scarica adrenergica verificatasi a seguito della paralisi muscolare instauratasi in soggetto cosciente.
Come accennato in precedenza, anche a mezzo dell’esame tossicologico su sangue che ha escluso la presenza di midazolam, la ricostruzione degli eventi ha consentito di chiarire che la soluzione presente nella siringa etichettata “midazolam”, somministrata dall’infermiera era stata preparata dalla sua collega del turno precedente ed assente in ospedale al momento della somministrazione.
In accordo con le Raccomandazioni, i farmaci caricati in siringa erano stati identificati in modo inequivocabile (?) (etichetta “midazolam 1mg/ml” di colore arancione, differente da quello adoperato per altri farmaci). Ma è evidente che tale procedura, pur riducendo il rischio di errore, non garantisce sicurezza assoluta poiché non è in grado di garantire in maniera assoluta il contenuto delle siringhe, condizionato in maniera esclusiva dall’intervento del singolo operatore.
Al riguardo, deve rammentarsi che l’unitarietà del processo preparazione-somministrazione dei farmaci, che, per ragioni di prudenza e di responsabilità, ferma restando la correttezza della prescrizione, grava esclusivamente sull’infermiere, impone che il professionista preparatore del farmaco sia il medesimo che lo somministra.
La Prevenzione di morte, coma o grave danno derivati da errori in terapia farmacologica è oggetto di una specifica Raccomandazione del Ministero della Salute (Raccomandazione n.7). Anche se a ben vedere, il tema della terapia farmacologica è stato oggetto di ulteriori approfondimenti nelle successive Raccomandazioni ministeriali, inerenti le precauzioni nel caso di farmaci LASA (Look-Alike/Sound-Alike – Raccomandazione n.12), per la prevenzione degli errori in terapia con farmaci antineoplastici (Raccomandazione n.14), per la riconciliazione della terapia farmacologica (Raccomandazione n.17); per la prevenzione degli errori in terapia conseguenti all’uso di abbreviazioni, acronimi e simboli (Raccomandazione n.18) e, da ultimo, per la manipolazione delle forme farmaceutiche orali solide (Raccomandazione n.19).
Per quanto attiene la nostra discussione, ricordiamo che la raccomandazione ministeriale menziona varie fattispecie di errore in terapia (medication error), definito come qualsiasi errore che si verifica nel processo di gestione del farmaco:
Errore di prescrizione
Riguarda sia la decisione di prescrivere un farmaco sia la scrittura della prescrizione.
Errore di trascrizione/ interpretazione
Riguarda la errata comprensione di parte o della totalità della prescrizione medica e/o delle abbreviazioni e/o di scrittura.
Errore di etichettatura/confezionamento
Riguarda le etichette ed il confezionamento che possono generare scambi di farmaci.
Errore di allestimento/preparazione
Avviene nella fase di preparazione o di manipolazione di un farmaco prima della somministrazione (per esempio diluizione non corretta, mescolanza di farmaci incompatibili), può accadere sia quando il farmaco è preparato dagli operatori sanitari sia quando è preparato dal paziente stesso.
Errore di distribuzione
Avviene nella fase di distribuzione del farmaco, quando questo è distribuito dalla farmacia alle unità operative o ai pazienti.
Errore di somministrazione
Avviene nella fase di somministrazione della terapia, da parte degli operatori sanitari o di altre persone di assistenza, o quando il farmaco viene assunto autonomamente dal paziente stesso.
La Raccomandazione sottolinea che dopo la prescrizione, la preparazione rappresenta la fase più critica nel processo di gestione del farmaco in ospedale sia in reparto che in Farmacia.
E riconduce l’errata preparazione di un farmaco a varie cause fra cui:
- diluizioni e ricostituzioni non corrette;
- miscelazione di farmaci fisicamente o chimicamente incompatibili tra loro o con
- le soluzioni utilizzate per la diluizione;
- errata compilazione dell’etichetta;
- deterioramento dei farmaci (farmaco scaduto o non correttamente conservato).
proponendo, una serie di azioni per prevenire tale genere di errori.
Ed in particolare:
a. adottare una procedura condivisa a livello aziendale per la conservazione, prescrizione, preparazione, distribuzione e somministrazione dei farmaci;
b. standardizzare la procedura di allestimento dei farmaci chemioterapici;
c. prevedere adeguati ambienti di lavoro e la Centralizzazione in Farmacia dell’allestimento dei farmaci chemioterapici, della nutrizione parenterale
totale (TNP) e di altre terapie infusionali, che necessitano di maggior cura;
d. trasmettere in tempi adeguati le richieste alla Farmacia;
e. controllare le diverse prescrizioni per lo stesso paziente;
f. evitare, durante la preparazione, le frequenti interruzioni;
g. preparare i farmaci nei tempi previsti da protocolli specifici (ad esempio, per i farmaci chemioterapici);
h. prestare attenzione alla corretta conservazione dei farmaci negli armadi di reparto e della Farmacia, soprattutto quando siano presenti confezioni di farmaci diversi, ma di dimensioni, colore, nome che possono indurre confusione al momento del prelevamento del farmaco;
i. verificare ulteriormente, almeno per alcuni farmaci che necessitano di una determinata temperatura, la data di scadenza e la conservazione;
j. seguire le Norme di Buona Preparazione dei medicinali (FU XI) per l’allestimento di tutte le preparazioni galeniche compresi i radiofarmaci, che devono essere allestiti in zone dedicate ed opportunamente controllate attraverso processi di qualità e sicurezza. Il rispetto delle Norme di Buona Preparazione dei medicinali in un percorso di qualità garantisce la tracciabilità del farmaco, del preparatore e la standardizzazione di tutto il processo;
k. prestare attenzione al calcolo della dose sulla base del peso e di altri parametri: gli errori sono particolarmente frequenti nei pazienti pediatrici soprattutto nella trasformazione delle unità di misura (ad esempio, da milligrammi a millilitri) o nell’impiego di farmaci utilizzati per via endovenosa). È quindi necessario disporre di tabelle di conversione e schemi con dosaggi standardizzati;
l. nella preparazione di miscele per endovena prestare particolare attenzione alle tecniche di asepsi, al rispetto di procedure che garantiscono accuratezza di dosaggio, alla soluzione utilizzata per ricostituire il prodotto e alla stabilità della soluzione allestita. Quando possibile, effettuare l’allestimento immediatamente prima della somministrazione;
m. indicare sempre sui flaconi multidose la data di apertura o di ricostituzione del medicinale;
n. nel caso di prodotti ricostituiti attenersi scrupolosamente alle note di conservazione riportate nel foglio illustrativo e quando indicato, al periodo di validità dopo l’apertura;
o. coprire il flacone o la sacca se il farmaco è fotosensibile;
p. prevedere, se possibile, che due operatori controllino in maniera indipendente la preparazione di un “farmaco ad alto rischio o alto livello di attenzione”;
q. accertarsi che negli armadi farmaceutici, in prossimità delle confezioni, ci siano etichette che riportino informazioni rilevanti e istruzioni specifiche, in particolare quelle riguardanti la sicurezza e la pericolosità del farmaco. Fondamentale è la presenza di contrassegno di pericolosità come nel caso di soluzioni concentrate (ad esempio, per il Cloruro di potassio, KCl);
r. addestrare gli operatori sanitari a leggere le etichette più volte;
s. la Farmacia deve predisporre informazioni supplementari per quei farmaci che necessitano di modalità di conservazione (ad esempio, una determinata
temperatura) e di utilizzo particolari (ad esempio, basso indice terapeutico, diluire prima dell’infusione in caso di soluzioni concentrate);
t. controllare le etichette delle preparazioni e riportare su di esse tutte le avvertenze e le informazioni necessarie per la corretta somministrazione (ad esempio, tempi di somministrazione, protezione dalla luce);
u. facilitare la comunicazione tra i reparti e la Farmacia.
È evidente che si tratta di molteplici cause di errore: sia di natura organizzativa generale, sia legate in maniera peculiare al singolo professionista che prepara e somministra il farmaco. Proprio per ridurre i margini di errore la Raccomandazione ministeriale suggerisce di evitare le interruzioni nel processo di preparazione: evidentemente perché, in un contesto ideale, l’infermiere che prepara i farmaci dovrebbe essere dedicato esclusivamente a quello, senza sollecitazioni dei colleghi, degli assistiti e dei visitatori.
Vi è, altresì, il suggerimento di effettuare l’allestimento immediatamente prima della somministrazione, a sottolineare l’unitarietà dell’atto preparazione/somministrazione, poiché è evidente il rischio di errore (anche per sostituzione) quando i due momenti siano cronologicamente distinti, tanto più se effettuati da operatori differenti.
Quasi pleonastico, per la sua ovvietà pur nella consapevolezza della dimensione utopica della prescrizione viste le criticità organizzative pressoché ubiquitarie, l’invito al controllo incrociato della preparazione da due operatori… in maniera indipendente quando si tratti di farmaci ad alto rischio o alto livello di attenzione.
Ed ancora, l’invito ad addestrare gli operatori sanitari a leggere le etichette più volte; sulla cui motivazione è del tutto inutile soffermarsi.
Cosicché, al di là delle questioni tecniche di maggiore complessità, è evidente l’attenzione della Raccomandazione al singolo operatore, nella piena consapevolezza della elevata frequenza dell’errore umano per i motivi più vari legati a stanchezza, stress, pressione lavorativa, fretta. Proprio come è accaduto nel caso oggetto della presente segnalazione, a dimostrazione che l’errore umano è capace di scardinare e violare (del tutto inconsapevolmente e certamente contro la volontà dello stesso operatore, nella fattispecie) uno dei più sofisticati (e banali, nel contempo) sistemi di sicurezza, che, nella fattispecie, consta di una vistosa etichetta con caratteri e colori che, nella mente di tutti noi, evoca il senso dell’infallibilità.
Infatti… !
Sottolineare, quindi, l’attenzione al singolo. Nel caso di specie perché prepara uno e somministra l’altro; siamo a fine turno? Ed allora, abbiamo fretta? Sto facendo contemporaneamente altro? Vengo interrotto nel corso della preparazione? Ovviamente il somministratore non c’entra nulla.

