Aspetti giuridico – sanitari della professione medica evidenziati dal covid-19
La responsabilità è la base del contratto tra medicina e società. Essenziale al contratto è la fiducia che il Pubblico ripone nei medici. Essa dipende sia dall’integrità morale dei singoli individui, sia dell’intera categoria. A fronte della carenza di risorse, è tangibile la continua crescita della domanda di beni e servizi e, di conseguenza, il conflitto tra tagli, restrizioni, lotta agli sprechi e gestione contenuta ed appropriata dei beni comuni.
Il medico per molto tempo è stato lontano dalle responsabilità economiche, ora invece è chiamato a rispondere in termini di risultati e utilizzo delle risorse.
Il medico deve fare la diagnosi, scegliere la cura, parlare con i malati, ma anche controllare che le prescrizioni siano in linea con le risorse, tanto anche al fine di evitare di incorrere in responsabilità professionale e conseguenti sanzioni, ciò comporta assumere ulteriori oneri e responsabilità, rimanendo ferma l’assoggettabilità alla responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile.
La responsabilità professionale del medico verso un’appropriata allocazione delle risorse consiste nell’evitare scrupolosamente test e procedure superflue, poiché la fornitura di servizi non necessari non solo espone i propri pazienti a danni e spese evitabili, ma riduce anche le risorse a disposizione degli altri.
L’etica con i suoi principi morali, la deontologia con i suoi doveri etico-giuridici e la giustizia con i suoi doveri sociali diventano quindi il terreno sul quale si esercita e si misura la professione medica.
In questo preciso quadro normativo emergono anche le conseguenti responsabilità professionali del medico e di ogni operatore sanitario sotto i profili etico, deontologico, sociale e giuridico. In tema di responsabilità occorre ricordare il regime di assistenza farmaceutica da parte del Ssn, che ai sensi dell’art. 8 della legge n. 537/1993 e successive modificazioni, prevede la suddivisione dei farmaci in due classi con diverso onere a carico degli assistiti: la classe A dei c.d. farmaci definiti “salvavita” e di rilevante utilità terapeutica e a totale carico del Ssn che comprende anche un gruppo di farmaci col contrassegno H che per motivi di economia o di maggiore controllo sanitario sono riservati all’uso ospedaliero o specialistico con onere totale a carico del Ssn e la classe C comprensiva di farmaci con onere a totale carico del paziente che vanno prescritti solo su ricettario personale del medico.
Pertanto le prescrizioni a carico del Ssn in difformità alle note AlFA sono considerate un danno erariale, per cui il medico prescrittore è tenuto a rimborsare il Ssn, previo procedimento istruttorio di cui all’art. 27 dell’ACN 23 marzo 2005 per la medicina generale.
Un sottogruppo di questi farmaci con nota AlFA richiede che la prescrizione sia preceduta dal rilascio di un Piano Terapeutico da parte delle strutture specialistiche inducenti la prescrizione, su un’apposita scheda da consegnare al medico curante e anche al Servizio farmaceutico dell’Asl di competenza per il controllo epidemiologico e di spesa farmaceutica, ai sensi dell’art. 50 del DL n. 269 del 30 settembre 2003, convertito dalla legge n. 326/2003.
Il medico che prescrive su ricettario regionale un farmaco a carico del Ssn in difformità alle Note AIFA potrebbe anche essere rinviato a giudizio per falso in certificazione amministrativa (art. 481 CP) e truffa ai danni dello Stato (art. 640 CP) perché la ricetta medica ha natura giuridica di certificazione amministrativa (sentenza n. 6752 del 7.6.1988 Cassazione Penale), in cui il medico implicitamente attesta di aver posto una diagnosi (la nota AlFA) per la quale tale prescrizione è riconosciuta idonea e cioè di avere prescritto il farmaco in conformità alle indicazioni terapeutiche per cui il ministero della salute lo ha riconosciuto rimborsabile a carico del SSN.
Qualora il medico prescriva un medicinale avente prezzo maggiore del prezzo rimborsabile dal servizio Ssn, la differenza fra i due prezzi è a carico dell’assistito se in farmacia sceglie la specialità medicinale invece del farmaco generico con lo stesso principio attivo, pur essendo stato informato dal farmacista sulle opzioni a minore costo, comportando, in tal caso, l’induzione di uno spostamento delle vendite dalle specialità medicinali ai corrispondenti farmaci generici, un documentato risparmio nella spesa farmaceutica per il Ssn.
Il provvedimento della CUF del 20 luglio 2000, pubblicato in GU n. 232 del 4 ottobre 2000, istituisce ai sensi della legge n. 648/1996 un elenco di farmaci a carico del Ssn per patologie prive di valida alternativa terapeutica, aggiornato periodicamente. Quando un farmaco non compreso nel prontuario terapeutico del Ssn risulta “indispensabile e insostituibile” alla cura di una grave malattia, il cittadino può chiedere al Giudice ordinario il riconoscimento del diritto all’erogazione del farmaco a carico del Ssn (sentenza n. 2782/2000 della Cassazione), poiché ogni assistito del Ssn ha un diritto perfetto alla necessaria assistenza farmaceutica con onere a carico dello Stato, secondo l’art. 32 della Costituzione e l’art. 28, comma 2, della legge n. 833/78.
La normativa prevede due modalità per la prescrizione di farmaci al di fuori delle indicazioni cliniche approvate in scheda tecnica ministeriale. Per patologie prive di valida alternativa terapeutica il provvedimento della CUF del 20 luglio 2000, pubblicato in GU n. 232 del 4 ottobre 2000, istituisce ai sensi della legge n. 648/1996 un elenco di farmaci a carico del Ssn, aggiornato periodicamente dall’AlFA su richiesta documentata da parte di organismi sanitari pubblici e privati, società scientifiche e associazioni di malati.
I farmaci inseriti in tale elenco possono essere prescritti, con onere a carico del Ssn, sulla base di un Piano Terapeutico attivato da strutture specializzate ospedaliere o universitarie o da istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e sono dispensati attraverso le farmacie delle strutture prescrittrici o dell’Asl di residenza dell’assistito. In alternativa a questo complesso sistema di prescrizione che è riservato solo ai medici specialisti di strutture accreditate, qualsiasi medico può prescrivere un farmaco per indicazioni cliniche non autorizzate, purché la prescrizione sia supportata da letteratura scientifica autorevole, sia con onere a carico esclusivo dell’assistito e sia preceduta dalla raccolta di un consenso informato scritto ai sensi del DL n. 23/1998 e della legge n. 94/1998.
Questa è l’unica modalità di prescrizione di farmaci consentita direttamente al medico di medicina generale. La prescrizione di farmaci a carico del Ssn, in assenza delle indicazioni cliniche autorizzate, è invece un illecito che comporta una responsabilità contabile a carico del medico che deve quindi risarcire il danno erariale al Ssn, in conformità alla legge n. 425/1996 e alle sentenze n. 1310/1995 del Consiglio di Stato, n. 209/1991 della Corte dei Conti Lombardia sezione Il e n. 158/1998 della Corte dei Conti Calabria sezione II.
In campo sanitario-farmaceutico il nostro ordinamento giuridico si ispira al principio, di rilievo costituzionale, della tutela della salute dei cittadini e della garanzia di cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.), realizzato attraverso il contemperamento tra l’esigenza (pubblica) di apprestare opportune forme di controllo-vigilanza sulla somministrazione di medicinali – realizzata anche attraverso l’istituto della prescrizione medica – e il diritto, anch’esso di rilievo costituzionale (art. 41 Cost.), al libero esercizio di un’attività economica (vendita di prodotti farmaceutici).
In questo contesto si pone la prescrizione (o ricetta) medica, che è l’autorizzazione scritta del medico volta a disporre la consegna al paziente del medicinale da parte del farmacista, il quale, in deroga alla disciplina ordinaria sul libero commercio, è il solo autorizzato ad effettuarla (Cass. Civ., sez. II, 27.11.1962, n. 3214).
La spedizione di una ricetta è quindi conseguenza di una autorizzazione alla quale il farmacista dà effetto giuridico dopo averne accertata la conformità a legge.
Ma, soprattutto, la funzione della prescrizione medica redatta sul modulo regionale è quella di rendere possibile (autorizzare) l’assunzione di un onere finanziario a carico dell’amministrazione sanitaria.
Anche le rigide modalità di consegna (al medico) del ricettario contenente i moduli per le prescrizioni, nel responsabilizzare il medico nell’attività di somministrazione dei farmaci attraverso il SSN, dimostrano la sicura rilevanza pubblica e l’attenzione posta dal legislatore su tale momento dell’attività professionale medica. Difatti, il bollettario regionale, contenente le ricette mediche numerate, che viene consegnato al medico personalmente e, comunque, nominativamente, altro non è che un bene pubblico, un titolo o valore, della cui conservazione, utilizzo e gestione è responsabile lo stesso medico.
Dall’esame della disciplina appena sintetizzata, si deduce che la prescrizione medica, con particolare riferimento alla prescrizione di medicinali, rientra nella esclusiva sfera volitiva e, dunque, nella esclusiva responsabilità del medico prescrittore, almeno con riferimento alla scelta ed indicazione della terapia farmacologica in relazione alla patologia riscontrata, nonché ai tempi, dosi e modalità di somministrazione del farmaco.
In questa ottica, il suggerimento terapeutico di uno specialista, portato a sostegno della terapia praticata, non rileva, in quanto è sempre il medico prescrittore che si assume totalmente la responsabilità prescrittiva e ciò sia dal punto di vista deontologico, sia dal punto di vista della responsabilità medica (relativamente ad eventuali danni al paziente), sia dal punto di vista economico per quanto riguarda la concedibilità del farmaco prescritto da parte del SSN. Il medico che trascrive la ricetta dello specialista, quindi, condivide in tutto la scelta terapeutica e ne assume la responsabilità.
LA RICETTA MEDICA NON E’ AFFIDATA ALLA DISCREZIONALITA’ DEL PROFESSIONISTA
Inoltre la normativa citata evidenzia che la ricetta medica, ben lungi dall’esser affidata alla discrezionalità del professionista, deve esser effettuata oltre che nel rispetto delle norme di settore, delle limitazioni e delle indicazioni fornite dal ministero della salute, nelle schede tecniche, ed eventualmente contenute nelle c.d. note C.U.F, nonché dei seguenti principi:
- economicità e riduzione degli sprechi: nella nuova logica dell’azienda ASL anche il medico convenzionato è coinvolto nelle decisioni gestionali sulla utilizzazione delle risorse ed è parte di un complesso sistema organizzativo che ha il compito istituzionale di erogare l’assistenza sanitaria sul territorio utilizzando fondi pubblici e che, a tal fine, si avvale di molteplici strumenti operativi e risorse professionali (di varia natura, provenienza e disciplina). In tale contesto, i risultati positivi non dipendono solo dall’esercizio dell’attività medica, ma dal combinarsi delle attività prettamente professionali con gli elementi organizzativi e le risorse disponibili, con la conseguenza che tutti gli operatori sanitari (dotati di una certa autonomia e che in sostanza partecipano a processi decisionali di tipo produttivo o, comunque, di forte impatto economico-finanziario) sono responsabilizzati nella utilizzazione appropriata delle risorse finanziarie pubbliche (v. anche codice deontologico, art. 12) e devono uniformare la loro attività (in questo caso prescrittiva) al principio della ottimizzazione di quelle risorse;
- appropriatezza, nel senso che ad ogni patologia deve corrispondere esclusivamente la prescrizione di farmaci (principi attivi) che risultino tali – per quantità, qualità e modalità di somministrazione – da indurre un miglioramento nelle condizioni di salute del paziente, con conseguente illiceità di comportamenti prescrittivi che portino il paziente ad un consumo di farmaci incongruo od inadeguato, anche in considerazione dei maggiori rischi per la salute che l’adozione di tale pratica comporta. In questa prospettiva, è bene ricordare che è preciso obbligo del medico (come afferma anche l’art. 31, comma 3, lett. b) dell’Accordo) “lo sviluppo e la diffusione del corretto uso del farmaco nell’ambito della quotidiana attività assistenziale”;
- efficacia dell’intervento: ovviamente il medico deve sempre finalizzare la prescrizione di un medicinale alla cura della patologia lamentata e riscontrata, tentando di ottimizzare il rapporto mezzi (farmaci) – risultato (miglioramento condizioni di salute), in modo da raggiungere il massimo risultato con il minimo impiego di principio attivo (comunque tossico).
Che la discrezionalità (tecnica) del medico dei servizi di medicina generale nell’attività prescrittiva di medicinali non sia illimitata è affermazione che si ritrova anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui al riguardo sussiste sia “l’obbligo di attenersi alle modalità sancite dall’accordo collettivo, sia la sindacabilità delle scelte terapeutiche e sanitarie del medico che coeteris paribus si pongano in contrasto con quelle effettuate dalla generalità degli altri medici, fatta ovviamente salva la prova del contrario, il cui onere incombe sul medico stesso”.
Con la conseguenza che è qualificabile come “illecito disciplinare sanzionabile “l’iperprescrizione” di farmaci, perché essa costituisce la situazione più frequente di scostamento, più o meno giustificato, tra le scelte del medico e quelle della generalità degli altri sanitari, laddove l’interessato non dia la dimostrazione plausibile dell’eventuale particolarità delle patologie da lui trattate” (Consiglio di Stato, sez. V, 19 settembre 1995, n. 1310, cit.).
Del resto, le limitazioni alla discrezionalità tecnico-medica e le indicazioni quali-quantitative che devono essere rispettate nella redazione della c.d. ricetta medica trovano una evidente giustificazione sul piano della finanza pubblica, laddove si consideri che, da un lato, si tratta di prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale (della collettività) e che, dunque, ciascuna prescrizione, qualora sia rimborsabile dalla ASL, comporta l’assunzione del relativo onere di spesa per il bilancio pubblico, dall’altro, il nostro Paese ha storicamente una notevole propensione all’uso (ed abuso) di farmaci, tanto che numerosi sono i provvedimenti normativi (da ultimo il Decreto-legge 3 marzo 2003, n. 32, “Disposizioni urgenti per contrastare gli illeciti nel settore sanitario”, peraltro non convertito in legge) tesi ad arginare il noto fenomeno della lievitazione della spesa farmaceutica (che nel 1998 rappresentava il 12% della spesa sanitaria complessiva, comprensiva di personale e beni e servizi).
Nessun dubbio sussiste circa la responsabilità dei soggetti prescrittori in caso di iperprescrittività in senso stretto, intesa come superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un determinato periodo di tempo. Inoltre “la prescrizione dei medicinali avviene, per qualità e per quantità, secondo scienza e coscienza, con le modalità stabilite dalla legislazione vigente nel rispetto del prontuario terapeutico nazionale…”. Infine, la disposizione di cui all’art. 1, comma 4, del d.l. 20 giugno 1996, n. 323, conv. in l. 8 agosto 1996, n. 425, impone al medico di rimborsare al SSN il farmaco prescritto senza osservare le condizioni e le limitazioni previste nei provvedimenti della CUF.
Difatti, lo scostamento tra le scelte prescrittive del singolo medico e le scelte della generalità degli altri professionisti (iperprescrittività in senso ampio) che presenti i caratteri della ripetizione continua nel tempo e della abnormità nella misura e che avvenga nonostante i periodici costanti e puntuali avvertimenti dell’amministrazione sanitaria circa l’atteggiamento iper-prescrittivo, costituisce un comportamento illecito fonte (come di responsabilità disciplinare nell’esatta impostazione, condivisa in questa sede, della citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1310 del 1995) di danno alle pubbliche finanze, sotto forma della quota parte di rimborsi erogati dal Servizio sanitario nazionale in più rispetto alla media degli altri sanitari.
Ciò in quanto l’attività prescrittiva del medico di medicina generale si deve ispirare, tra l’altro, al principio già richiamato (sub 2) del raggiungimento di obiettivi di economicità e risparmio delle risorse finanziarie pubbliche, su cui, in definitiva, ogni scelta terapeutica del medico va ad incidere, impostazione resa del resto manifesta, oltre che sul piano individuale dalle norme dell’accordo collettivo e del codice deontologico già ricordate, dalle numerose disposizioni normative che, specie negli ultimi anni, hanno adottato misure di contenimento della spesa farmaceutica (ad es. legge 23 dicembre 1996, n. 648, di conv. in legge del d.l. 21.10.1996, n. 536 e tutte le norme richiamate nella nota della Federfarma del 1998). In particolare la disposizione di cui all’art. 1, comma 4, del d.l. 20 giugno 1996, n. 323, conv. in l. 8 agosto 1996, n. 425, che impone al medico di rimborsare al SSN il farmaco prescritto senza osservare le condizioni e le limitazioni previste nei provvedimenti della CUF.
Va inoltre considerato che le limitazioni numeriche che la legge (art. 2, co. 3, del d.l. 30.10.1987, n. 443, conv. in l. 2.9.1987, n. 531) impone relativamente al numero di pezzi prescrivibili per ricetta non possono essere aggirate attraverso la redazione di differenti e numerose ricette che prescrivono l’identico farmaco o principio attivo, realizzando cioè una sorta di “frazionamento artificioso della prescrizione di medicinali”, come avviene in molti casi, in cui si può riscontrare una consecutività di prescrizioni, che perdura per tutto l’anno, di analoghi principi attivi, anche se di ditte farmaceutiche diverse.
Il medico di medicina generale che ritenga di prescrivere al proprio paziente una terapia farmacologica che, per quantità di principio attivo da assumere o per le modalità di somministrazione, non consenta l’addebito al Servizio Sanitario Nazionale della relativa spesa, potrà egualmente farlo, ma senza utilizzare il modello regionale di ricetta e senza accollare così la relativa spesa all’erario, che, invece, verrà sostenuta dal paziente stesso.
Venendo alle tecniche di quantificazione di questo particolare tipo di danno, andrebbe preso a riferimento il totale della spesa posta a carico del SSN dai medici iperprescrittori – così come rilevate dal sistema di monitoraggio della spesa farmaceutica – dividendo tale somma per il numero degli assistibili (numero di pazienti che risultano formalmente in carico al medico), in modo da ottenere la rispettiva spesa per assistibile effettivamente addebitata al SSN, parametro messo a confronto con la media di tutti gli altri sanitari nel territorio, allo scopo di ottenere, per differenza, la quota di rimborso in eccedenza addebitato alla ASL per assistibile.
Per quanto riguarda la sussistenza di un vero e proprio rapporto di servizio tra il medico convenzionato e l’ASL di appartenenza, essa costituisce ormai ius receptum, in quanto nell’attività da questo svolta la Corte di Cassazione ha da tempo rilevato elementi da cui scaturisce l’esistenza del rapporto di servizio (di fonte convenzionale) con l’Amministrazione sanitaria. Si tratta dei seguenti adempimenti: identificazione degli assistiti e accertamento del loro diritto alle prestazioni sanitarie; rilascio di certificazioni sanitarie; compilazione di prescrizioni farmaceutiche (Corte di Cassazione, SS.UU: n. 6442 del 18 dicembre 1985 e n. 9957 del 13/11/1996).
In particolare i compiti di certificazione sanitaria e finanziaria si inseriscono nell’ambito dell’organizzazione strutturale, operativa e procedimentale della ASL ed hanno natura amministrativa, con la conseguenza che il professionista operando in forza di una devoluzione da parte dell’amministrazione sanitaria, svolge tali compiti in esecuzione di un rapporto di servizio (Corte Cass., SS.UU., 21 dicembre 1999, n. 922). Con la precisazione che i rapporti convenzionali instaurati tra i medici di medicina generale e gli enti preposti all’assistenza sanitaria, in base alle disposizioni dell’art. 48 della l. 23 dicembre 1978, n. 833 e disciplinati da accordi collettivi resi esecutivi con decreti del Presidente della Repubblica hanno natura privatistica di rapporti di prestazione d’opera professionale, svolta con i caratteri della parasubordinazione (Corte Cass., SS.UU. 22 novembre 1999, n. 813).
Con specifico riferimento all’attività di prescrizione di medicinali a carico del Servizio Sanitario Nazionale, si è ulteriormente precisato che appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti l’azione per il ristoro del danno arrecato dai medici convenzionati con il SSN a seguito della redazione di prescrizioni inusuali, incongrue o incomplete, di prescrizioni di medicinali agli assistiti in quantità eccessive o, comunque, per finalità non terapeutiche, in dosi maggiori del consentito o con modalità di somministrazioni diverse dal lecito (Corte Cass., SS.UU., 21 dicembre 1999, n. 922; Corte dei conti, sez. II, 2 giugno 1998, n. 158/A; sez. II 30 maggio 1991, n. 209; Sez. giur. Calabria 19 settembre 1996, n. 31).
Infatti, la prescrizione di farmaci per indicazioni cliniche non autorizzate in scheda tecnica ministeriale, comporta per il medico anche una responsabilità civile e penale in caso di danno dovuto all’uso dei farmaci (sentenza n. 40 17/2000 del Tribunale di Milano, sezione Penale X), con l’onere di una più gravosa dimostrazione di correttezza della scelta terapeutica operata tra tutte le altre opzioni disponibili e idonee al caso.
L’assistenza integrativa regionale (AIR) prevede l’erogazione di ulteriori farmaci, prodotti e presidi sanitari con onere a carico della regione.
Il governo con DPCM de12 novembre 20O1 ha affidato alle Regioni il compito di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), di razionalizzare la spesa sanitaria e di controllare le prescrizioni farmaceutiche, come ora previsto ai sensi del DL n. 269 del 30 settembre 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003.
La prescrizione di farmaci con onere a carico del Ssn, in assenza delle indicazioni cliniche autorizzate o in violazione alle limitazioni al numero di confezioni per ricetta, è un illecito per il quale il medico è tenuto a risarcire il danno erariale al Ssn già secondo la sentenza n. 1310 del 19.9.1995 del Consiglio di Stato e la sentenza n. 209 del 30 maggio 1991 della Corte dei Conti Lombardia sezione 11.
La violazione di legge costituisce responsabilità extracontrattuale, per cui ai sensi dell’art. 2697 CC spetta all’ asl l’onere della prova, cioè dimostrare con certezza l’inappropriatezza delle prescrizioni contestate. L’onere della prova non è compito del medico che, ai sensi dell’art. 27 dell’ACN 2005, ha la libera facoltà difensiva e non l’obbligo di presentare contro deduzioni o presentarsi per essere ascoltato sulla contestazione di addebito.
Il compito di recuperare il danno da prescrizione non consentita spetta alla magistratura ordinaria (Cassazione Sezioni Unite n. 922/1999) o contabile ai sensi della legge n. 19/1994 (Corte dei Conti Calabria sezione 11 n. 158/1998), per cui la Asl non può esercitare alcun potere autoritativo sul medico, al di fuori di quello di sorveglianza.
L’art. 5, comma 6, della legge n. 407/1990 afferma che l’accertata prescrizione a carico di un assistito esente ticket di una prestazione destinata a un assistito non esente comporta per il medico la sospensione della convenzione col Ssn fino a 6 mesi. Inoltre, l’art. 1, comma 16, della legge n. 724/1994 dispone l’obbligo da parte delle Asl di denunciare all’autorità giudiziaria i responsabili di prescrizioni illecite, per i quali sono state formulate anche le ipotesi di truffa ai danni dello Stato ex- art. 640 CP e falso in certificazione amministrativa ex- art. 481 CP.
Invece in caso di richiesta di ricovero ospedaliero da parte del medico di base, quest’ultimo nelle cartelle cliniche viene citato come medico “proponente” il ricovero , mentre il medico ospedaliero come medico “accettante” il ricovero, a dimostrazione che la responsabilità autonoma dell’autorizzazione spetta al medico ospedaliero che riconosce la necessità del ricovero.
ECONOMICITA’, APPROPRIATEZZA, EFFICACIA
Quindi è inappropriato attribuire o cercare di attribuire al medico di famiglia la responsabilità di ricoveri ordinati da terzi, mentre, in merito all’appropriatezza ed alla responsabilità contabile dei ricoveri, ciò non permette agli amministratori di identificare i reali ordinatori di spesa. In riferimento alla costituzione di parte civile, nel processo penale,da parte della Pubblica Amministrazione si pone il problema di verificare quali siano i limiti e gli eventuali effetti del giudicato civile nella predetta sede processuale sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura contabile.
Attualmente la giurisprudenza è infatti orientata nel senso di ritenere che il giudizio contabile non risulta precluso né dalla costituzione della Amministrazione danneggiata nei termini come sopra indicati, né dalla eventuale condanna generica del responsabile al risarcimento dei danni; ciò anche quando sia intervenuto il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell’art. 539 c.p.p. (Corte dei conti, sez. II, 04.07.01, n.257/A; nello stesso senso sez. Sardegna, 15.04.98, n.121).
Sussisterebbe, invece, il sopravvenuto difetto di interesse a perseguire la responsabilità amministrativa in sede di giudizio contabile quando per fattispecie di danno sostanzialmente sovrapponibili si sia formato, dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, un giudicato civile di risarcimento del danno in misura superiore (vedasi C.Conti, sez. riun., 24.02.98, n.11).
Il su citato orientamento, unitamente a quello che tende a negare la sussistenza di un problema di ne bis in idem o di sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti laddove l’Ente pubblico danneggiato abbia ottenuto una sentenza definitiva al risarcimento del danno, costituisce l’esplicitazione del principio secondo il quale “la giurisdizione penale e quella civile risarcitoria, da un lato, e la giurisdizione amministrativo-contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, dal momento che l’interferenza può avvenire tra i giudizi
ma non fra le giurisdizioni” (C.conti, sez.I,06.06.2003,n.187/A).
L’indipendenza dei giudizi comporta, quindi, che l’Amministrazione può, pertanto, esercitare l’azione risarcitoria in sede penale senza che tale evenienza possa incidere sulla giurisdizione della Corte dei conti alla quale compete, evidentemente, la definitiva quantificazione del danno (cfr. C. conti, sez. I, 14.11.00, n.331/A).
Per concludere l’azione della Procura contabile è preclusa non dalla costituzione di parte civile dell’Amministrazione in sede penale, bensì dall’integrale ed effettivo ristoro di tutti i profili di danno erariale; qualora si verificasse tale ultima ipotesi sussisterebbero i presupposti per la declaratoria di improcedibilità della domanda per carenza di interesse.
Allorquando, invece, non sia avvenuto l’integrale ristoro del danno erariale si dovrà tenere conto degli eventuali risarcimenti parziali conseguiti in sede di liquidazione del danno, anche in sede di esecuzione della sentenza di condanna della Corte dei Conti (vedasi in tal senso Corte dei conti, sez.I,02.12.02,n.425/A). (Sentenza n. 12118 del 23 maggio 2006)
Nel procedimento disciplinare l’assenza di un difensore tecnico non è causa di nullità del procedimento (e non confligge con i principi costituzionali del diritto di difesa), posto che sia l’ordine sia il professionista discutono di vicende tecniche che entrambi sono perfettamente in grado di valutare in base alla propria esperienza e professionalità. (Sentenza n. 12118 del 23 maggio 2006.)
Va ribadito che la prescrizione di farmaci su ricettario regionale del Ssn è un atto medico che ha rilevanza amministrativa certificazione e autorizzazione), economica (documentazione di spesa a carico dello Stato) e documentativa (responsabilità civile e penale del medico e del farmacista). Infatti, la prescrizione di farmaci su ricettario del Ssn ha natura giuridica di certificazione amministrativa per la parte ricognitiva – e non costitutiva – del diritto dell’assistito all’erogazione di medicinali e ha natura giuridica di autorizzazione amministrativa in quanto consente all’assistito l’esercizio del diritto di fruire del servizio farmaceutico, secondo la Cassazione, sez. IV, con sentenza n. 8051 del 1.6.1990 (Presidente Lo Coco).
Le crescenti responsabilità amministrative e i crescenti carichi di lavoro assistenziali richiedono sempre maggiore collaborazione interattiva tra operatori sanitari e quindi anche tra medico e farmacista al fine di fornire ai pazienti risposte univoche e integrate riguardo alla loro salute. Pertanto appare di interesse pubblico che questa collaborazione venga ulteriormente promossa anche livello istituzionale.
Anche in riferimento a tale obiettivo, Il governo, con DPCM del 29 novembre 2001, ha affidato alle Regioni il compito di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), di razionalizzare la spesa sanitaria e di controllare le prescrizioni farmaceutiche, come ora previsto ai sensi dell’art. 50 del DL n. 269 del 30 settembre 2003, convertito dalla legge 326/2003.
Le responsabilità del medico di medicina generale ( Cure Primarie) nell’esercizio dell’attività professionale sono classificabili in quattro categorie, con differenti caratteristiche: la responsabilità disciplinare per violazione di norme deontologiche, la responsabilità disciplinare per violazione di norme contrattuali col Ssn, la responsabilità penale per reati, ed infine la responsabilità civile per danno ingiusto colposo risarcibile.
Per quanto attiene alla responsabilità penale, medici che vengono sospettati di aver commesso un reato sono sottoposti a indagine da parte dell’autorità giudiziaria e ricevono l’informazione di garanzia (art. 369 CPP).
Nella responsabilità penale assume particolare rilevanza la nozione giuridica del medico autore di presunti reati: il medico durante lo svolgimento di funzioni pubbliche è considerato incaricato di pubblico servizio (art. 357 CP) o pubblico ufficiale (art. 357 CP) per cui gli illeciti a lui imputabili sono puniti più severamente rispetto agli stessi atti compiuti dal medico durante lo svolgimento dell’attività privata in cui assume invece la qualità di esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 CP).
Il medico di medicina generale in qualità di pubblico ufficiale può essere imputabile anche per i reati contro la pubblica amministrazione attribuibili solo a chi svolge funzioni pubbliche, come per esempio: abuso d’ufficio (art. 323 CP), corruzione (art. 318 CP), concussione (art. 317 CP), peculato (art. 314 CP).
Per quanto attiene, invece la responsabilità civile, i medici nell’esercizio dell’attività professionale possono rendersi responsabili di un danno risarcibile verso assistiti o terzi (Ssn, altri enti pubblici o privati, dipendenti, ecc.) a causa di azioni od omissioni proprie oppure anche a causa di altri soggetti a cui hanno delegato mansioni subordinate (artt. 1228-1229 CC) sullo svolgimento delle quali hanno comunque il dovere di vigilare (sentenza n. 1095 del 3.1.96 della Cassazione Civile).
Infatti, la responsabilità contrattuale del medico nei confronti dell’assistito per la prestazione richiesta è disciplinata dagli artt. 2222c.c.( contratto d’opera) e 2229CC (esercizio delle professioni intellettuali). La Cassazione Civile, sezione III, con la sentenza n. 2466 del 3.5.1995 ha affermato che il medico nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali professionali è tenuto alla diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia (art. 1176 CC), ma è quella specifica del debitore qualificato (art. 1218 CC: il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile).
L’ammontare del risarcimento dei danni agli assistiti viene determinato ai sensi dell’art. 1223 c.c. attraverso il calcolo della perdita subita e del mancato guadagno. Se il danno non può essere provato nel suo ammontare preciso, viene liquidato dal Giudice con valutazione equitativa (art. 1226 c.c.).
I danni non patrimoniali (morali) sono risarcibili solo se causati da illecito (art. 2059 CC e art. 185CP).
È invece risarcibile il danno biologico ai sensi dell’art. 2043 CC e dell’art. 32 della Costituzione, secondo la sentenza n. 184 del 14.7.1986 della Cassazione.
Il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno fisico dipende dalla dimostrazione dell’evento lesivo e del nesso di causalità tra la condotta (azione od omissione del medico) e evento lesivo (danno al paziente).
La responsabilità sussiste quando la condotta viene riconosciuta come causa o concausa dell’evento lesivo, in conformità ai principi dettati dagli artt. 40 e i del Codice Penale. Nel giudizio penale la sentenza n. 41654 della Cassazione sezione IV Penale depositata il 26.10. 2004, ha affermato che non c’è colpa senza un’elevata credibilità razionale dell’accertamento giudiziale, cioè senza la dimostrazione certa di un rapporto di causalità tra la condotta del medico e il danno al paziente per cui basta un ragionevole dubbio per scagionare il medico.
Inoltre, la Cassazione sezione Civile III, con sentenza n. 3609 del 6.6.1984 aveva già affermato: “Per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno, non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in assenza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell’antecedente.
In conclusione, i principi di professionalità e responsabilità devono esser ben chiari sia al professionista che alla società, e soprattutto deve esser ben tenuto in evidenza che essi impegnano il medico ad anteporre ai propri interessi quelli del paziente inteso come entità umana avente diritto all’assistenza nei modi e nei termini previsti dalla Legge e non dalla propria volontà.
Deve essere impegno comune a tutti gli Attori istituzionali chiamati in causa, fissare e mantenere standard di competenza ed integrità sulle questioni fondamentali di salute, pur senza trascurare il contenimento della spesa sanitaria che, però , per quanto ampiamente detto, non prescindere dal diritto alla salute ( alla diagnosi e cura) del cittadino, così come tutelato dall’art.32 della Costituzione.

Medico delle cure primarie Lecce
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