Numero 2 – 2021
scritto dal Dott. Paolo Frassanito
CONIUGARE LA TRADIZIONE ITALIANA CON LA VISIONE INTERNAZIONALE
Trentotto anni rappresentano un giro di boa importante per un medico: ormai gli anni trascorsi dall’immatricolazione a Medicina hanno raggiunto gli anni di vita precedente e sono destinati inesorabilmente ad aumentare. Questa circostanza, unita alla situazione generale, impone un momento di dovuta riflessione su quanto ho potuto e saputo realizzare le mie aspettative di giovane liceale che si approcciava alla formazione medica canticchiando “per questo giurai che avrei fatto il dottore, perché i ciliegi tornassero in fiore”. Cosa direbbe quello studente se mi vedesse ora? Sono stato all’altezza delle “sue” aspettative? Ho tradito i “suoi” sogni?
Appena maggiorenne arrivi in una grande città come Roma e tutto sembra fuori misura, perfino i libri di medicina che sembrano più in scala con la città che con le tue possibilità di studio e memoria. Per fortuna il confronto con gli altri studenti universitari ti fa vedere il solco di una strada già tracciata. Paragonare università pubbliche e private può risultare stucchevole ma sicuramente il numero minore di iscritti al corso di un’università privata ti consente di impostare una quotidianità ed un rapporto con i docenti ed i tutor che almeno in parte ed almeno inizialmente non si discosti da quel mondo liceale da cui provieni. Dopo i tre anni di studi biologici arriva il momento delle “cliniche” ed ognuno inizia ad assecondare le sue inclinazioni per cercare di diventare uno specialista prima ancora che un medico.
Vivi la prima “crisi” quando tutti hanno scelto cosa fare da grande e tu devi ancora decidere. Il problema è che la medicina è diventata iperspecialistica e vivi la scelta non tanto come un’opportunità quanto come il rischio di poterti precludere qualcosa che ti piace fare. In quel momento ho avuto la fortuna di vivere un’esperienza all’estero, in Francia precisamente. Ho scoperto un mondo ed un sistema formativo diverso. Tutti si complimentavano per le mie conoscenze mediche ma, a dispetto della padronanza delle nozioni, sentivo di non saper fare molto confrontandomi con colleghi che al quarto anno del corso di laurea gestivano senza troppi patemi gli infarti in pronto soccorso. Inoltre i miei pari-età si guadagnavano già da vivere con un mini stipendio garantito dall’università di medicina agli studenti che frequentano gli ultimi 3 anni di corso e sbarcavano il lunario sostituendo gli infermieri professionali nelle cliniche, dal momento che il completamento del quarto anno di medicina è equiparato in Francia al titolo di un infermiere e permette quindi di esercitare questa professione. Ho scoperto un sistema formativo basato su una praticità sorprendente, che mira a formare medici competenti e non laureati in medicina molto preparati. Le lezioni degli ultimi 3 anni sono ridotte al minimo sindacale e spesso vertono sulla gestione interattiva di casi clinici superando in maniera efficace il concetto stantio di didattica frontale ed annullando la distanza tra quello che si impara in aula e quello che poi bisogna mettere in pratica in reparto.
Forse in quell’esperienza di concretezza e praticità ho maturato la decisione di avvicinarmi alla chirurgia e tornato in Italia ho iniziato a frequentare il reparto di Neurochirurgia infantile del Policlinico Gemelli dove ho avuto la fortuna di incontrare persone straordinarie prima ancora che professionisti di caratura internazionale. Gli incontri rimangono un momento fondamentale della crescita dell’individuo e questo vale ancora di più in ambito medico dove il mentoring continua ad avere un ruolo chiave. Il rapporto con i pazienti non si impara sui libri e frequentare un reparto era un momento essenziale della formazione medica oltre che un modo per prepararsi al concorso per accedere alla scuola di specializzazione. Negli ultimi anni l’introduzione del concorso nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione, come accade da tempo nel sistema francese, ha permesso di eliminare le storture del passato garantendo a tutti i laureati gli stessi diritti e possibilità. D’altro canto gli studenti di medicina hanno rinunciato a frequentare i reparti non sapendo quale sarà poi il loro percorso futuro. Così oggigiorno non è infrequente imbattersi in neospecializzandi che hanno scelto un percorso di formazione “come ripiego”, ignorando assolutamente cosa comporti ed in cosa consista quel lavoro. Ragazzi tornate nei reparti, andate in sala operatoria, frequentate un ambulatorio e maturate la vostra scelta con cognizione di causa!
Se la formazione in ambito medico è una questione aperta, in ambito chirurgico la problematica si fa ancora più bruciante, soprattutto in Italia. Le discussioni tipiche tra gli specializzandi delle diverse università si riducono alla solita domanda ricorrente: “ma ti fanno operare?”. Nonostante normative in continua evoluzione che cercano di garantire almeno sulla carta un volume minimo di casistica chirurgica, la formazione chirurgica rimane più spesso determinata dalla fortuna e dalle circostanze piuttosto che da una reale organizzazione del percorso formativo delle scuole di specializzazione. I laboratori di anatomia scarseggiano sul territorio italiano e con questi le possibilità di fare dissezione chirurgica. Al contrario abbonda l’offerta di corsi di dissezione chirurgica cadaverica con costi spesso insostenibili. Discorso analogo si può fare per i centri di simulazione chirurgica.
Così, mentre noi continuiamo a discutere delle possibilità della simulazione in ambito chirurgico in ogni singolo convegno e meeting scientifico, all’estero da anni si destinano ingenti investimenti economici a questo campo, dotando le università di medicina di simulation center e laboratory for surgical skills. La prima volta che sono entrato in uno di questi al Mont Sinai Hospital di Toronto ho avuto ancora una volta la percezione di come il sistema italiano non riesca o non voglia rinnovarsi, perdendo ogni occasione di essere al passo con i tempi. A chi non coglie l’importanza della simulazione in ambito chirurgico spesso cito le parole di un mio brillante collega che mi ha accolto in quel laboratorio dicendo “nessuno farebbe mai guidare un aereo ad un pilota che non ha fatto abbastanza ore di simulazione, ma in Italia accettiamo che si possa operare una persona senza esserci mai esercitati su un simulatore”.
L’IMPORTANZA DELLE ESPERIENZE FORMATIVE ALL’ESTERO
Per questo ogni occasione di formazione diventa preziosa ed in questo contesto le esperienze all’estero assumono ancora più valore e dovrebbero far parte del percorso formativo obbligatorio di un medico. Ho perfezionato i miei studi al Children’s Hospital di Chicago dove sono arrivato con il timore reverenziale della medicina a stelle e strisce. Ho toccato con mano l’eccellenza del ricchissimo sistema di sanità privato ma anche le disuguaglianze che ne conseguono. Ho capito che non riuscirei a lavorare in un sistema dove i medici sono costretti a puntare sul marketing e pubblicizzarsi come l’ultimo modello di Iphone. Tuttavia, mi sono anche reso conto di quanto negli USA il sistema formativo e lavorativo sia dinamico ed offra tante possibilità e… seconde possibilità.
Infatti, mi è capitato spesso di incontrare colleghi che hanno iniziato la specializzazione in neurochirurgia e poi hanno cambiato specialità con estrema naturalezza perché si sono resi conto in maniera serena che non erano fatti per quel lavoro e per lo stile di vita che comporta. Non a caso la specializzazione in neurochirurgia negli USA è segnata da uno dei più alti tassi di abbandono e da un altrettanto alto tasso di divorzi. Se non vi è molto di cui meravigliarsi fino a qui, mi ha invece sorpreso come, dopo aver cambiato specialità, questi colleghi siano diventati specialisti di caratura internazionale con ruoli di primo piano nei maggiori ospedali americani.
Al contrario, in Italia un giovane medico convive costantemente con il timore di dover completare il suo lungo e farraginoso percorso senza intoppi e senza ripensamenti per sperare in tanto meritate quanto agognate soddisfazioni lavorative, per non parlare di quelle accademiche. Sono rari i casi di colleghi che non completano la scuola di specializzazione una volta ammessi, e quando succede questo evento viene visto come un fallimento. Credo che l’accademia e le istituzioni debbano costruire un sistema formativo e lavorativo meno ingessato in percorsi prestabiliti, che spesso non rispondono più alle esigenze del mondo moderno. Comunque l’esperienza americana mi ha insegnato che non si può idolatrare in maniera acritica un mondo senza conoscerlo ed ho imparato ad essere fiero del livello della nostra medicina ed ancora più orgoglioso del fatto che possiamo garantire assistenza medica gratuitamente a tutti grazie al nostro tanto bistrattato sistema sanitario nazionale. Dopo questa pandemia, che ci ha segnato profondamente, bisogna ripartire da questo punto fermo investendo concretamente nella sanità, ottimizzando le risorse, pianificando seriamente il futuro e garantendo realmente ed in maniera uniforme i livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale.
Un’altra lezione fondamentale per un medico, ed un chirurgo in particolare, è stata scoprire con i propri occhi che una cosa può essere fatta in maniera diversa con pari efficacia. La formazione chirurgica italiana si basa spesso sul “si è sempre fatto così”, un mantra che riduce l’insegnamento a mera operazione di riproduzione, negando alla sua base il metodo scientifico. I giovani in formazione devono capire che la scienza medica è in continua evoluzione e ciò che oggi insegniamo, domani potrebbe essere superato o confutato da nuove scoperte. Questo concetto può spiazzare inizialmente ma è alla base dell’entusiasmo che deve animare gli studi di un medico in formazione e le sue ricerche. Le esperienze e le persone che ho incontrato lungo il mio percorso mi hanno fatto crescere e mi hanno reso il medico che sono oggi. Non credo che il percorso formativo possa essere uguale per tutti ma credo che tutti debbano avere le stesse possibilità e dovere dell’Università è rendere il ventaglio di possibilità quanto più ampio ed accessibile possibile.
In questo contesto, negli ultimi anni internet ha giocato un ruolo chiave favorendo la diffusione del sapere e moltiplicando le opportunità di formazione anche in ambito medico, con un’accelerazione importante durante la pandemia. I tradizionali convegni scientifici in presenza sono stati sostituiti da una mole enorme di eventi online più dinamici ed informali. Sebbene sentiamo tutti forte il bisogno di socialità, credo che questa nuova modalità di formazione, opportunamente disciplinata e controllata dalle società scientifiche, possa e potrà costituire un’altra occasione importante di formazione per i futuri medici. Da qualche anno sono faculty di un corso di ricostruzione cranica a cui partecipano una ventina di neurochirurghi ogni anno. Quest’anno l’evento si è tenuto online ed hanno partecipato 100 iscritti da 27 Paesi, molti dei quali non avrebbero mai potuto sostenere i costi di viaggio e soggiorno per il corso in presenza.
E’ giunto il momento di guardare al futuro e la sfida principale rimane quella di coniugare gli aspetti tecnico-scientifici con il lato umano della Medicina, che posso definire la più tecnica delle materie umanistiche e la più umanistica delle discipline scientifiche. Difficile pensare all’aspetto umanistico della Medicina quando sei in sala operatoria davanti ad un microscopio chirurgico ed incidi la cute con un bisturi monopolare o tagli l’osso con uno scalpello piezoelettrico o rimuovi una lesione con un aspiratore ad ultrasuoni guidato da sistema di neuronavigazione magnetica. Tuttavia, ogni gesto chirurgico potrebbe essere facilmente eseguito in autonomia da un robot se non esistesse il lato umano del nostro lavoro. Il rapporto con il paziente, e con i genitori nel caso in cui si abbia a che fare con bambini, è la base fondamentale su cui si fonda l’alleanza terapeutica tra medico e paziente. Inconsciamente credo di aver scelto la neurochirurgia pediatrica perché dovermi relazionare con i bambini mantiene forte ed irrinunciabile questo lato umano, allontanando con decisione la paura di diventare uno di quei medici che snocciola numeri e DRG in maniera fredda ed asettica.
LA FORMAZIONE IN AMBITO CHIRURGICO PRESENTA MOLTE CRITICITA’
D’altra parte, il progresso tecnologico e l’evoluzione scientifica costituiscono una pulsione naturale verso l’iperspecializzazione e la tecnicizzazione della scienza medica e chirurgica. Strizziamo l’occhio alla ricerca perché capiamo quali siano le straordinarie prospettive soprattutto in campo biomedico, anche se l’amore per la ricerca viene costantemente tradito dalle istituzioni e dall’assenza di un sistema sostenibile. In questi anni mi è capitato di visitare istituti di ricerca biomedica dove lavorano ricercatori brillanti che hanno fatto scoperte incredibili, compensando con l’ingegno che contraddistingue noi italiani carenze economiche e strutturali divenute ormai ataviche.
L’assenza di prospettive lavorative stabili, che rende spesso impossibile il sostentamento economico, i concorsi universitari poco limpidi, la carenza di fondi di ricerca e la loro scarsa accessibilità, la tanto sbandierata quanto bistrattata meritocrazia costringono i giovani ricercatori a fuggire all’estero, o peggio ancora cambiare lavoro, dopo che il Paese ha investito sulla loro formazione. Non manca il rammarico anche per chi riesce a fare ricerca in Italia nonostante tutto: spesso ho notato una mancanza di comunicazione tra il mondo della ricerca ed il mondo del lavoro e dell’impresa, che impedisce di traslare in progresso tangibile i risultati della ricerca di base.
Il medico-ingegnere-scienziato rappresenta un superamento di questi limiti e della figura tradizionale del medico che appartiene al nostro immaginario classico. In questo contesto il progetto della Scuola di Medicina di Lecce rappresenta sulla carta l’occasione di formare il medico del terzo millennio. Tuttavia, l’insidia principale è il rischio di creare una figura professionale ibrida ma non abbastanza empatica per essere un medico né abbastanza competente per essere un ingegnere biomedico in assenza di un percorso formativo valido o peggio ancora un predicatore nel deserto in assenza di concrete possibilità di crescita professionale post-lauream. Per questo è necessario che intorno alla Suola di Medicina di Lecce si crei un ambiente che funzioni da incubatore di questo progetto e che collabori a creare un polo formativo e professionale. Per farlo è indispensabile creare una rete di scambi culturali tra atenei italiani ed esteri, di interazione con gli enti ospedalieri locali, con i centri di ricerca e le industrie per poter garantire una sinergia nella formazione e negli sbocchi professionali.
Spero vivamente che il nostro territorio sappia vincere questa sfida ambiziosa e possa diventare attrattivo per i futuri studenti di medicina italiani e non solo.

Dopo la laurea in Medicina e Chiurgia con lode, ho conseguito la Specializzazione in Neurochirurgia ed il Dottorato di Ricerca in Neuroscienze presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. Ho perfezionato gli studi in Neurochirurgia pediatrica sotto la guida del Prof. Di Rocco e Prof. Caldarelli a Roma e del Prof. Tomita presso lo Ann & Robert H. Lurie Children’s Hospital di Chicago (USA) e grazie allo European Postgraduate Course for Pediatric Neurosurgery (European Society for Pediatric Neurosurgery). Dal 2014 sono Dirigente medico di I livello presso Neurochirurgia infantile della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma. Cerco di coniugare l’attività scientifica (con oltre 100 pubblicazioni su riviste internazionali/capitoli di libro e la revisione di articoli scientifici per riviste internazionali fra cui Child’s Nervous System), l’attività didattica in ambito universitario e la comunicazione in ambito medico-scientifico (dal 2016 sono Chairman del web and communication committee della European Society for Pediatric Neurosurgery). Dal 2018 ho conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) a Professore di Seconda Fascia nel settore concorsuale MED27 06/E3, Neurochirurgia e Chirurgia Maxillo-facciale, rilasciata dal MIUR. I miei principali campi di ricerca sono: idrocefalo, craniostenosi e riparazione cranica, tecniche di chirurgia mininvasiva nei tumori cerebrali pediatrici. Sono originario di Monteroni di Lecce.