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Numero 3-2021

Scritto dal dott. Luigi Greco – Pediatra di famiglia – Bergamo  Consigliere Nazionale SIP (Società Italiana di Pediatria) – Tesoriere dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri della Provincia di Bergamo

RENDERE PIU’ SICURO PER IL PAZIENTE IL RICORSO ALLE CURE MEDICHE

Raccolgo con piacere l’invito dell’amica e collega Titti Tornesello per salutare tramite Lei tutti i Colleghi salentini, ricordando il compianto Antonello Del Vecchio (una perdita ancora troppo recente e bruciante per rendersi conto sul serio quanto ci mancherà), e tentare qualche considerazione sugli aspetti che caratterizzano la gestione del rischio clinico in Pediatria. Comincerei con fornire delle definizioni sintetiche di rischio clinico, errore ed evento avverso:
Rischio Clinico: possibilità che un paziente subisca un danno o un disagio involontario, imputabile alle cure sanitarie, che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la morte.
Errore: fallimento nella pianificazione e/o nella esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non attribuibile al “caso”, dell’obiettivo desiderato
Evento avverso: evento inatteso correlato al processo assistenziale che comporta un danno al paziente, di carattere non intenzionale e indesiderabile. Gli eventi avversi possono essere prevenibili e non prevenibili. Un evento avverso attribuibile ad un errore è un “evento avverso prevenibile”.

Di conseguenza la gestione del rischio clinico (Clinical Risk Management) altro non è che quell’insieme di atti, procedure e provvedimenti che si preoccupano di rendere più sicuro per il paziente il ricorso alle cure mediche, evitando o riducendo la possibilità che si verifichino eventi avversi prevenibili dovuti ad errore.
Come è noto a tutti, non esiste attività umana che non sia soggetta ad errore e, conseguentemente, non esiste, o meglio non dovrebbe esistere, attività medica che non debba comprendere anche la prevenzione e la gestione dell’errore medico. Concetto valido, quindi, sia che si lavori in ospedale che sul territorio.
Un’altra considerazione, strettamente connessa con le precedenti, è che se si vuole conoscere un sistema per prevenire danni o promuovere dei miglioramenti, non si può prescindere dal misurare quella o quelle attività che sono oggetto della nostra attenzione.
In una parola non si può con certezza migliorare qualcosa che non sia misurabile.
Usando esempi non medici, diciamo che una macchina è più veloce di un’altra perché siamo in grado di misurare a quanti km orari possono viaggiare entrambe e possiamo confrontarle; un oggetto è più grande di un altro perché il volume del primo, misurabile in m3, è maggiore del secondo, e così via.
Ci sono concetti che si prestano meno intuitivamente ad essere misurati, come il concetto di “bello” o quello di “piacevole”. Ma anche in questi casi, con un po’ di pazienza, si possono identificare dei parametri che ci consentono di operare delle misurazioni.
In medicina, i parametri che ci permettono di misurare e, quindi, rendere in qualche modo più oggettivo il nostro lavoro, si chiamano “indicatori” e classicamente vengono distinti in:

  • Indicatori di Struttura: sono le caratteristiche di una struttura sanitaria o di un singolo operatore, rilevanti per fornire assistenza sanitaria.
  • Indicatori di Processo: valutano un servizio di assistenza sanitaria prestata ad un paziente e vengono distinti a loro volta in indicatori di “processo organizzativo” e indicatori di “processo professionale”
  • Indicatori di esito: misurano lo stato di salute di un paziente derivante dall’assistenza sanitaria

Non è mia intenzione trattare in maniere esaustiva un argomento ponderoso come questo o, peggio, liquidarlo in poche battute, ma cercherò di indurre delle riflessioni analizzando, almeno in parte, un singolo aspetto della nostra attività quotidiana: la prescrizione farmacologica.
Visto che siamo in ambiente ordinistico, permettetemi di ricordare, in primo luogo a me stesso, che quando assumiamo la veste di prescrittori (analogamente a quando certifichiamo) siamo a tutti gli effetti dei “pubblici ufficiali”, con tutte le implicazioni che questo comporta in termini di responsabilità.
Anche se è opinione comune che i bambini siano più “sani” e più “protetti” degli adulti, secondo studi non più recentissimi ma ancora validi, i pazienti in età pediatrica sarebbero esposti 3 volte di più degli adulti ad errori terapeutici potenzialmente pericolosi (Kaushal J. JAMA 2001)
I fattori che condizionano il rischio terapeutico in età pediatrica sono noti e, purtroppo, numerosi:

  • Gestione degli interventi terapeutici ed educazionali mediata dalla capacità di comprensione, dalla sensibilità e disponibilità della famiglia oltre che dalla compliance del piccolo paziente: una triangolazione necessaria, quella medico-paziente-famiglia o caregiver, ma che spesso complica il corretto raggiungimento della cosiddetta “alleanza terapeutica”. A complicare ulteriormente una relazione non semplice contribuisce lo sviluppo della telemedicina, che ha consentito molti interventi “al letto del paziente” nel corso della recente pandemia, ma che pone ulteriori problemi circa l’appropriatezza e la riservatezza degli interventi.
  • Caratteristiche biologiche dei soggetti in età evolutiva: non tutte le linee metaboliche sono attive come nell’età adulta (per. Es. il Citocromo P450 nelle prime fasi della vita) e, in più, è necessario tener conto che si tratta di un organismo in cui tutti gli apparati e funzioni sono in via di sviluppo.
  • Scarsa disponibilità di farmaci testati sui bambini (spesso le relativamente poche autorizzazioni per i farmaci in età pediatrica, che sono sempre successive alle sperimentazioni sull’adulto, vengono concesse a seguito di valutazioni effettuate su poche decine di casi, contro le migliaia di dati necessari per ottenere la registrazione di un farmaco in età adulta).
  • Scarsa disponibilità di formulazioni pensate per l’età pediatrica (alcuni farmaci, per es., esistono in compresse non divisibili, la cui frammentazione, operata “off label” nel tentativo di adeguarne il dosaggio, ne altera la farmacocinetica)
  • Condizionamento operato da fattori esterni (media, scuola, familiari diversi dai genitori, conoscenti, internet, ecc.): quanta confusione sui vaccini o sulla nutrizione e gli integratori alimentari, per esempio.
  • Organizzazione attività assistenziale: non sempre dipendente dalla volontà dei professionisti

Tutti noi cerchiamo di mettere la massima attenzione quando prescriviamo un farmaco ad un bambino, eppure, gli errori terapeutici avvengono in una percentuale rilevante: 5 – 27% (Marlene R. Miller et al. QSHC 2007).
Potremmo, grossolanamente distinguere l’errore terapeutico in:

  • Errore di Prescrizione (p.es. errore di tipo/formulazione o di posologia): 3 – 37%
  • Errore di distribuzione (p.es. errore nella consegna del farmaco da parte del farmacista): 5 – 58%
  • Errore di somministrazione (dosaggio o via di somministrazione sbagliati): 72 – 75%

Quali azioni, nella nostra pratica quotidiana, potremmo mettere in atto per ridurre queste percentuali?
L’approccio generale di gestione del rischio prevedrebbe:

  • Identificazione dei rischi e degli eventi avversi: per esempio assicurarsi di avere a disposizione tutti i dati auxologici necessari per una corretta prescrizione (età, peso, superficie corporea), di disporre di una anamnesi aggiornata sulle eventuali patologie concomitanti, sulle eventuali reazioni allergiche nei confronti del farmaco usato, sulle altre eventuali terapie in corso. Assicurarsi di avere fornito indicazioni orali e scritte sulle modalità di somministrazione del farmaco e che queste siano state comprese dal caregiver e riportate nella scheda del paziente/cartella clinica. Riconoscere, trattare e segnalare gli eventi avversi indotti dal farmaco prescritto.
  • Analisi dell’evento, e successiva ricerca di criticità ed errori: disamina critica e puntuale di tutti i passaggi che hanno portato all’errore che ha causato l’evento avverso.
  • Adozione delle adeguate misure di prevenzione e proposta di raccomandazioni: per esempio adozione di un software in grado di segnalare le interazioni del farmaco prescritto con le terapie in corso; adozione di procedure di comunicazione multilingue, ecc.
  • Utilizzo degli strumenti del Miglioramento Continuo di Qualità (Manuali per Qualità, Indicatori corretti, Raccomandazioni delle Società Scientifiche e degli Organismi Istituzionali): misurare per migliorare.

Nello specifico gli aspetti principali da monitorare potrebbero essere:

  • Registrazione dei dati: la corretta e completa registrazione dei dati sulla scheda sanitaria/cartella clinica del paziente è il presupposto di una corretta gestione clinica ed organizzativa e consente di avere la documentazione necessaria per individuare le eventuali aree di criticità.
  • Segnalazione di eventi: è necessario ricercare attivamente le criticità e che queste, assieme agli eventi individuati, possano essere registrate e segnalate ad un organismo terzo in grado di fornire elaborazioni statistiche e indicazioni per individuare soluzioni corrette ed efficaci.
    Mentre è relativamente semplice segnalare una reazione avversa indotta da un farmaco, diventa più complicato segnalare l’errore che questa reazione ha comportato. Ancora oggi al concetto di errore sono legati quelli di colpa e responsabilità legale. Questo limita fortemente l’uso della pratica dell’incident reporting come crescita culturale personale di ogni singolo professionista e dell’organizzazione in generale, finendo per limitare fortemente il miglioramento della sicurezza dei pazienti.
  • Organizzazione del lavoro: Per esempio nel campo delle cure primarie pediatriche è necessario possedere un archivio informatizzato, essere dotati di personale infermieristico e di segreteria, avere un metodo di lavoro che consenta interventi tempestivi ed efficaci, effettuare periodiche revisioni delle procedure adottate in studio, curare la formazione professionale. In corsia, prima di somministrare preparazioni farmacologiche già preparate da altri, verificare sempre che il contenuto sia corretto e sia stato correttamente preparato e conservato.
  • Strutture e risorse: è necessario avere disponibili e saper correttamente utilizzare sia la strumentazione tecnica necessaria per erogare le prestazioni sanitarie sia i presidi e le dotazioni previste per rendere sicuri gli ambienti di lavoro per l’utenza e per il personale.

E’ necessario, quindi, promuovere un atteggiamento attivo nella ricerca delle possibili fonti di errore medico per migliorare ulteriormente la sicurezza dei pazienti in età pediatrica, una pratica che dovrebbe diventare automatica per ogni organizzazione e per ogni professionista.
Molto si è scritto di quanto la recente pandemia abbia costretto a rivedere percorsi e procedure, per esempio per l’accesso ai reparti e ai Pronto Soccorso ma anche negli ambulatori dei pediatri di famiglia. Misure adottate tardivamente e in modo non coordinato. L’aggiornamento periodico di un piano anti-pandemico nazionale e la sua tempestiva adozione sarebbe stata la misura organizzativa che avrebbe consentito di ridurre il contagio tra operatori e pazienti limitando l’impatto che la pandemia da Sars-Cov2 ha avuto in vaste aree del paese, come quella in cui lavoro io. La gestione del rischio clinico, in ultima analisi, non è una esercitazione teorica ma salva vite umane.

Dopo avere condotto una corretta analisi ed individuazione del rischio, avere adottato delle strategie di prevenzione dello stesso mediante procedure di eliminazione e/o riduzione, ci accorgeremo, tuttavia, che non tutto il rischio è eliminabile e che rimangono dei rischi residui “non altrimenti trattabili”.
Questi rischi residui non trattabili, caratteristici di ogni attività professionale e di ogni setting di cura, dovranno essere conferiti ad una assicurazione mediante la sottoscrizione di una polizza per la responsabilità professionale. Il consiglio, in questo caso, è di non affidarsi a soluzioni estemporanee ma di individuare tra le offerte elaborate dalle organizzazioni professionali e società scientifiche quella che più si adatta all’attività di ciascuno e che sia in grado di fornire le migliori garanzie. In ambito pediatrico la Società Italiana di Pediatria, da circa un decennio si è dotata di un sistema di protezione assicurativa in grado di fornire agli iscritti tutto il supporto necessario in caso di necessità. Si tratta di una proposta che vede da un lato l’offerta di una polizza assicurativa con garanzie complete, dall’altro il costante monitoraggio dei sinistri da parte della SIP che è in grado, dove necessario, di intervenire con opportune consulenze. Si tratta di un sistema che nel 2020 ha fornito supporto ad oltre 6100 Pediatri di tutte le specialità e che ha gestito finora 1417 sinistri, di cui solo 2 esitati in un pagamento, e 449 conclusi senza seguito.

Riassumendo, ciascuno di noi deve porsi il problema di rendere più sicure le cure che offre ai propri piccoli pazienti mettendo in atto tutti gli strumenti che le attuali conoscenze ci forniscono, sapendo che, nonostante tutti gli sforzi messi in essere rimarrà una piccola quota di rischio non trattabile che dovrà essere conferita ad una assicurazione mediante una polizza di responsabilità professionale.

dott. Luigi Greco

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