PATOLOGIA DEMIELINIZZANTE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Introduzione
La Sclerosi Multipla (SM) è una patologia demielinizzante del sistema nervoso centrale (SNC) con una componente infiammatoria e una degenerativa (1,2). La prima, evidente e monitorabile in risonanza magnetica nucleare (RMN) tramite l’osservazione delle placche disposte elettivamente a sede peri-ventricolare, midollo spinale, nervi ottici, tronco e cervelletto; la seconda, misurabile solo con tecniche non convenzionali di RMN, come la frazione parenchimale cerebrale, BPF e la risonanza magnetica spettroscopica protonica, H1MRS.
In ogni caso, entrambe le componenti patologiche è noto interessino sia la sostanza bianca che la grigia, al contrario di quanto espresso dalla vecchia definizione di SM quale patologia della sostanza bianca. La sua etiologia resta sconosciuta e, sebbene se ne conosca la storia naturale, il decorso nel singolo paziente è ampiamente imprevedibile.
Patologia ad alto impatto socio-economico, rappresenta la prima causa di invalidità neurologica giovanile non traumatica (3) e una delle principali voci di spesa del sistema sanitario nazionale. La malattia esordisce tipicamente attorno ai 30 anni e viene diagnosticata tra i 20 e i 40 (4, 5). La sua distribuzione non è uniforme, essendo più diffusa nelle zone lontane dall’equatore, secondo un gradiente longitudinale crescente da sud a nord, osservato sia in Europa che in America.
La prognosi della SM e il suo decorso clinico dipendono molto da una diagnosi precoce e, quindi, da una terapia istituita prima dell’insorgenza di deficit neurologici stabili e irreversibili. Per questo motivo, grande attenzione è posta dalla comunità scientifica alla formulazione dei criteri diagnostici di patologia che consentano non solo sensibilità e specificità, ma anche precocità di intervento. Questi ultimi non si basano su elementi etiologici, ma sul concetto fisiopatologico di disseminazione spaziale e temporale delle lesioni.
L’avanzamento tecnologico di questi ultimi decenni ha aumentato di circa 8-10 volte la nostra capacità di dimostrare la disseminazione delle lesioni, da quando questo si faceva col semplice esame clinico, all’attualità della RMN. Si comprende bene, quindi, il rapido avvicendarsi di criteri e linee guida sull’argomento, col risultato di migliorare non tanto l’accuratezza nella diagnosi, quanto la sua precocità.
Altro pilastro della diagnosi è il concetto di “no better explanation”. Vuol dire che esami strumentali e di laboratorio in particolare, devono mirare tanto al riconoscimento della patologia, quanto all’esclusione di altre che entrano in diagnosi differenziale, le cosiddette “MS mimics” (6).
La storia
Il primo tentativo di inquadramento diagnostico della SM fu fatto da Jean Martin Charcot nel 1868, come si legge nelle “Leçons du mardie”, tenute alla Salpetriere di Parigi. In quella occasione la triade diagnostica comprendeva il nistagmo, il tremore intenzionale e la parola scandita. Nel 1906 Otto Marburg suggerì, invece, la combinazione di pallore del disco ottico, assenza dei riflessi addominali e segni piramidali alla base della diagnosi di SM.
Ma fu solo nel 1961 che i problemi sullo svolgimento dei trials clinici per la SM, indussero il “National Institute of Neurological Diseases and Blindness” del “United States National Institutes of Health” a promuovere un comitato per la stesura della terminologia e delle definizioni specifiche universali in materia di SM. Il comitato era diretto da George Schumacher, e le sue proposte vennero pubblicate nel 1965. Gli omonimi criteri sono i primi moderni, ed erano basati sulla dimostrazione clinica di 2 o più siti di lesione, e la definizione di episodio che doveva durare almeno 24 ore. Fu introdotta per la prima volta la categoria di “clinically difinite” per l’arruolamento dei pazienti nei trials di studio, secondo un gold standard diagnostico che durò per lungo tempo.
Tuttavia, la mancanza di riferimenti strumentali e criteri oggettivi rese la materia di difficile applicazione. Solo con la fine degli anni ’70 si ebbe un ulteriore avanzamento, allorché iniziarono a diffondersi i potenziali evocati, le tecniche elettroforetiche per lo studio del liquor e la tomografia assiale computerizzata per la diagnosi differenziale.
Alla luce di tali sviluppi tecnologici nel 1982 un gruppo di esperti Americani, Canadesi e Inglesi si riunì per riformulare i criteri diagnostici. Nacquero così nel 1983 i criteri di Poser (7) la cui principale novità fu l’introduzione di due principali categorie, “definite MS” e “probable MS”, ognuna con due sottogruppi, ovvero “clinically” e “laboratory supported”. In questo modo venne inclusa l’analisi del liquor e ritenuta diagnostica la presenza di almeno 2 bande oligoclonali, o un elevato IgG index.
I criteri di Poser, inoltre, non consideravano ufficialmente la RMN, ma prevedevano una evidenza para-clinica tramite potenziali evocati o RMN per la dimostrazione delle lesioni subcliniche. Tuttavia, non venne considerata adeguatamente la forma primariamente progressiva di malattia alla quale, invece, venne riservata una specifica sezione negli aggiornamenti successivi.
Inoltre, per la prima volta, vennero concordate le definizioni di “attacco”
definito dalla comparsa di sintomi di disfunzione neurologica, con o senza conferma oggettiva, della durata di almeno 24 ore; e di “remissione” definita da un miglioramento dei segni, dei sintomi o di entrambi, che persistesse per almeno un mese.
A migliorare la nostra conoscenza sulla SM, nel 1996 furono introdotti i fenotipi clinici di malattia ad opera di Lublin (8). Questi definì i termini tuttora utilizzati di forma a ricadute e remissioni, la forma primariamente o secondariamente progressiva e quella progressiva con ricadute sin dall’inizio.
Queste categorie fenotipiche servirono molto alla progettazione di trials clinici per lo studio di terapie e alla comprensione della storia naturale della malattia così come ora la conosciamo. Per quasi 20 anni, quindi, quelli di Poser furono i criteri di riferimento in tutto il mondo e, come per i criteri di Shumaker, anche questi furono superati con l’avanzamento tecnologico, e, quindi, dalla diffusione della RMN.
Quest’ultima si rivelò subito possedere una elevata sensibilità ma una bassa specificità. Di conseguenza, se da una parte manifestava un elevato potere predittivo rispetto all’evoluzione in SM clinicamente definita di pazienti con lesioni cerebrali (56-88%) rispetto a quelli senza lesioni (20%) ed avesse un valore prognostico su andamento, estensione e tipo di malattia, oltre che sulla disabilità a lungo termine, dall’altra individuava lesioni del SNC anche in pazienti non affetti da SM, e perfino in soggetti sani.
Si rese, quindi, necessario ricercare le caratteristiche specifiche delle RMN dei pazienti affetti da SM e sviluppare così una serie di criteri neuroradiologici per discriminare le RMN suggestive di SM rispetto alle altre. Si individuarono, quindi, le principali caratteristiche neuroradiologiche delle lesioni tipiche di SM: “enhancement” dopo somministrazione di Gadolinio nelle immagini T1 pesate; forma ovalare nelle immagini pesate in T2 con asse maggiore parallelo a quello dei ventricoli cerebrali; localizzazione iuxtacorticale, infratentoriale e periventricolare.
Dall’analisi statistica basata su parametri di localizzazione e numero delle lesioni, nacquero i primi criteri di Paty e Fazekas (9,10). Poco tempo dopo, nel 1997, Barkof (11) propose dei criteri considerando gli stessi parametri, ma come variabili indipendenti ed attribuendo a ciascuno di essi un cut off di massima accuratezza diagnostica. Con la dimostrazione da parte di Tintorè, che solo una combinazione di 3 fra questi parametri esprimeva il massimo grado di predittività diagnostica, nacquero i criteri di Barkof-Tintorè, che fanno ufficialmente parte delle attuali linee guida sin dal 2001.
Ulteriore impulso allo sviluppo dei criteri diagnostici si ebbe dopo la metà degli anni ’90 con l’avvento delle terapie modificanti la storia naturale della malattia (DMTs): l’Interferone e il Glatiramer acetato. Infatti, l’applicazione di queste terapie in SM, ma, soprattutto, nei pazienti con primo evento demielinizzante (le cosiddette forme clinicamente isolate, CIS) ha evidenziato come questi siano tanto più efficaci, quanto più precocemente prescritti (12).
In un tale contesto nacquero i criteri di McDonald del 2001(13), a garantire non solo una maggiore specificità di diagnosi, ma anche una sua maggiore tempestività.
Le principali innovazioni previste da questi criteri sono le seguenti:
- L’introduzione della RMN tramite la quale verificare la disseminazione spaziale e temporale delle lesioni.
Per quanto riguarda la disseminazione spaziale si fa riferimento alla presenza di 3 su 4 criteri di Barkof oppure la presenza di solo 2 lesioni peri-ventricolari, se positive le bande oligoclonali (in realtà, i criteri originali di Barkof ne precedevano 3). Per quanto riguarda, invece, la disseminazione temporale, si introduce un termine di 3 mesi dopo la precedente RMN (almeno 6 mesi dopo l’esordio clinico), considerato sufficiente per la dimostrazione di una nuova lesione T2 o caratterizzata da enhancement, purché la lesione non fosse nel sito implicato nell’evento clinico dell’esordio. - La possibilità di diagnosticare pazienti come “clinically definite” con un solo attacco clinico senza aspettarne 2, come prevedevano i criteri di Poser.
- Indicazioni sulla diagnosi della forma primariamente progressiva di malattia, per la quale i criteri di Poser erano decisamente inappropriati.
- Il riconoscimento dei segni oggettivi di malattia quali unici riconosciuti diagnostici, al contrario di sintomi soggettivi considerati tipici (come ad esempio parestesie, vertigini, fatica). Questi ultimi potevano fornire un sospetto di malattia, ma non erano da considerare diagnostici di SM.
Sempre nell’intento di abbreviare i tempi dell’iter diagnostico, molti studi sulle CIS furono condotti con i criteri 2001 di McDonald, e nel 2005 uscì la loro revisione fatta da Polman (14).
I criteri del 2005 resero ancora più breve l’iter diagnostico di SM, riducendo a 30 gg quel periodo di 3 mesi originariamente indicato per la disseminazione temporale. Fu modificata, inoltre, l’affermazione del 2001 secondo la quale ai fini diagnostici, una lesione spinale poteva sostituire una lesione cerebrale. Nei criteri 2005, infatti, una lesione spinale poteva sostituire solo una infratentoriale e non di altra sede.
In fine, mentre nel 2001 la diagnosi differenziale era lasciata alla discrezionalità del medico, nel 2005 si richiama esplicitamente la no better explenation. Infatti, si fa cenno alle lesioni simmetriche della CADASIL e al simultaneo enhancement delle lesioni della ADEM per fornire esempi di diagnosi differenziale che doverosamente si devono considerare insieme a tutti gli altri nell’iter diagnostico.
Nel 2007 Swanton (15) e collaboratori pubblicarono nuovi criteri diagnostici proponendo per la disseminazione spaziale la presenza di almeno una lesione in almeno 2 delle 4 sedi tipiche per SM; mentre, per la disseminazione nel tempo una lesione T2, in un’epoca qualsiasi rispetto al baseline. Questi nuovi criteri dimostrarono una migliore sensibilità (71.8%) sia rispetto ai criteri di McDonald del 2001 (47.1%) che rispetto alla revisione di Polman del 2005 (60.0%), mentre la specificità (87.0%) calava leggermente nei confronti dei criteri del 2001 (91.1%) o rimaneva sostanzialmente invariata rispetto a quella della revisione 2005 (87.8%).
L’accuratezza, invece, migliorò, attestandosi ad un 80.8% rispetto al 73.1% dei criteri 2001 e 76.4% della revisione di Polman.
In considerazione di questo ulteriore avanzamento diagnostico, nel 2010 furono nuovamente aggiornati i criteri, sempre ad opera di Polman e sempre nell’intento di snellire e semplificare le procedure diagnostiche (16).
I dati salienti rispetto al 2005 erano:
- L’introduzione dei criteri di Swanton nello studio della disseminazione spaziale e temporale delle lesioni.
- L’ulteriore riduzione dei tempi della disseminazione temporale, considerando sufficiente la sola coesistenza di lesioni con e senza enhancement, addirittura pure nella stessa RMN di baseline, senza necessariamente dover attendere una nuova lesione nel follow-up. Una nuova lesione diventa diagnostica, quindi, anche in un’epoca qualsiasi rispetto al baseline.
- La definizione della forma primariamente progressiva, tramite parametri di disseminazione spaziale più semplici e agevoli da applicare.
Questi criteri, tuttavia, pur non rappresentando un avanzamento in termini di accuratezza diagnostica rispetto a quelli precedenti del 2005, hanno consentito un approccio diagnostico più snello e tempestivo rispetto a quelli del passato (17).
Nel 2013 Lublin definì ulteriormente le categorie fenotipiche descritte nel 1996 (18), tramite l’attribuzione a ciascuna di esse del grado di attività e progressione clinica. Questo ha ulteriormente ampliato le nostre conoscenze sulla malattia e posto le basi per studi sempre più precisi, in quanto idonei a considerare il substrato biologico della SM.
L’attualità
Nell’iter di sviluppo dei criteri diagnostici per SM arriviamo da Swanton al marzo 2016, con la proposta del gruppo MAGNIMS (19), pubblicata a primo nome di Massimo Filippi del S. Raffaele di Milano, sempre nell’intento di abbreviare ulteriormente i tempi della diagnosi.
Le proposte formulate erano le seguenti:
- Aggiungere, quale quinta sede tipica di SM, anche il nervo ottico.
- Considerare diagnostiche 3 lesioni peri-ventricolari e non 2, per aumentare la specificità
- Considerare in un’unica soluzione fisiopatologica le lesioni juxtacorticali e quelle corticali
- Considerare lesioni diagnostiche non solo quelle asintomatiche, ma anche quelle sintomatiche, senza alcuna differenza tra loro
Di queste proposte, solo le ultime 3 sono state accettate e ratificate negli attuali criteri diagnostici del 2017 (20), pubblicati dopo una commissione tenutasi a Filadelfia nel novembre 2016 e a Berlino nel maggio dello stesso anno.
La figura 1 riassume le differenze esistenti fra criteri diagnostici per SM del 2010 e 2017.

Al momento, quindi, il nervo ottico, pur frequentemente interessato nella SM, non fa parte delle sue sedi tipiche, e non ha formale valore diagnostico. Per quanto riguarda, invece, le lesioni sintomatiche, fino al 2017 erano escluse dal novero delle lesioni diagnostiche in quanto possibili fonte di confondimento, dovendo, queste, essere contate 2 volte: al momento della verifica della disseminazione temporale o spaziale, e al momento della conta del numero degli attacchi.
Le lesioni peri-ventricolari, invece, in numero di 3 conferiscono maggiore specificità rispetto a patologie come l’emicrania che, pur potendo interessare la sostanza bianca, non si esprimono di solito, con una tale quantità di lesioni. Per lo stesso motivo si sono considerate in una unica soluzione le lesioni juxtacorticali e corticali, considerata anche la crescente importanza di queste ultime nella malattia.
Per quanto riguarda, invece, lo studio liquorale, gli ultimi criteri diagnostici sono chiari nell’attribuire alle bande oligoclonali un valore di disseminazione temporale, rappresentando queste, l’espressione bioumorale di un processo immunopatico che richiede del tempo per esprimersi secondo sintesi compartimentalizzata intratecale.
In figura 2 sono rappresentati in forma originale gli attuali criteri diagnostici per SM.

Da: 2017 revisions of the McDonald criteria. Lancet Neurol 2018
Mentre, in figura 3 sono rappresentati in forma originale i criteri RMN di disseminazione spaziale e temporale.

Da: 2017 revisions of the McDonald criteria. Lancet Neurol 2018
Infine, rispetto alle forme primariamente progressive, il panel di esperti del 2017 ribadisce le indicazioni dei criteri 2010, ricordando, in più, di non fare differenza fra lesioni sintomatiche e asintomatiche, nonché di considerare pure quelle corticali ai fini diagnostici.
Le attuali linee guida, inoltre, concludono con raccomandazioni generali di fare attenzione alla diagnosi differenziale avvalendosi di tutti i test clinici e para-clinici disponibili; di considerare validi questi criteri anche per l’età pediatrica sopra gli 11 anni, ma di usare maggiore cautela in categorie poco studiate di pazienti come i non caucasici, e i bambini al di sotto di 11 anni; di auspicare studi ulteriori sul nervo ottico frequentemente interessato dalla malattia, ma non sufficientemente studiato finora.
Infine, sono fortemente incoraggiati studi sui bio-marcatori, che potrebbero anticipare ulteriormente la diagnosi a beneficio di una tempestiva terapia e, quindi, di una prognosi sempre migliore. In questo ambito il centro SM di Casarano è stato attivo tramite il laboratorio di Neuroproteomica, producendo diversi articoli sul nervo ottico e su possibili biomarkers di attività di malattia.
In particolare, abbiamo dimostrato e descritto la neuropatia ottica cronica, come conseguenza di un precoce interessamento del nervo ottico, piuttosto comune in SM, a prescindere dalla neurite ottica retrobulbare (21, 22). Inoltre, abbiamo individuato fra le altre, l’IFP35 quale possibile biomarcatore di infiammazione innata al primo evento demielinizzante e predittore della risposta clinica all’interferone nel singolo paziente (23, 24, 25).
Conclusioni
La storia qui riportata, sia pure per sommi capi, dello sviluppo dei criteri diagnostici per la SM è emblematica di come tecnologia e approccio multidisciplinare siano fondamentali per la scienza medica, con una ricaduta immediata sulla salute dei pazienti affetti da questa, come da altre malattie. In particolare, siamo partiti da una accuratezza diagnostica di 47% dell’inizio degli anni ’80, all’80% attuale; non solo, ma a questo avanzamento è corrisposto un progressivo miglioramento dell’iter diagnostico per la SM, con un guadagno netto della prognosi a fronte di terapie istituite sempre più precocemente.
Prossima frontiera della diagnosi è lo studio RMN della vena centrale. Aspetto, questo, che sebbene ancora confinato alla ricerca, appare molto promettente nella diagnosi differenziale di patologie simil-SM che non esprimono lesioni correlate al sistema venoso, come pare sia, invece, per la SM.
In fine, una raccomandazione che proviene sempre dalle linee guida, è di fare riferimento per la diagnosi di malattia a centri specializzati con comprovata esperienza nella diagnosi e trattamento della SM e patologie correlate. Questo, in considerazione della complessità della materia soprattutto, ma anche, della legislazione italiana che conferisce ai centri SM specifiche funzioni in ambito diagnostico e terapeutico.

UOC Neurologia “G. Coppola”
PO “F. Ferrari” Casarano
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