IMPROVVISAMENTEIN PRIMA LINEA, COSTRETTI A REINVENTARCI IL LAVORO
In circa 48 ore il mio lavoro, fatto di normale routine, è cambiato radicalmente; da responsabile della UOSD di Pneumologia Territoriale, mi sono trovato a dirigere dapprima la Pneumologia postacuti Covid-19 dell’Ospedale di San Cesario di Lecce e subito dopo anche la Pneumologia Infettivi del DEA.
Fino ad allora per me il virus Covid -19 era qualcosa che apparteneva alla Cina e non immaginavo realisticamente come avrebbe cambiato la nostra vita.
Iniziai da subito a documentarmi sull’argomento guardando video, materiale scientifico e linee guida cinesi. Non vi erano certezze sul virus, sul trattamento farmacologico, sulla ventilazione meccanica e il web aveva reso più difficile distinguere le notizie vere dalle fake news. La competenza della gestione di un paziente Covid mi sembrava prettamente specialistica pneumologica e/o infettivologica.
L’esperienza fatta in questo periodo ci ha confermato che sovente il paziente richiede una gestione più complessa che non si accontenta del solo protocollo infettivologico; molto spesso il malato necessita di ventilazione meccanica non invasiva o addirittura invasiva e può richiedere l’intervento dello pneumologo e del rianimatore. La gestione quotidiana del malato, quando si ricovera in un reparto d’isolamento, è sostanzialmente internistica, per la necessità di far fronte alle problematiche multidisciplinari che un soggetto spesso anziano, cardiopatico, diabetico o affetto da deterioramento cognitivo o da malattie neurologiche, presenta. Inoltre, in questi reparti non sempre è possibile una consulenza specialistica e spesso le patologie croniche possono riacutizzarsi e complicare un quadro di importante fragilità.
DALLA PNEUMOLOGIA TERRITORIALE AGLI INFETTIVI DEL DEA
La consapevolezza mia e dei miei collaboratori di trovarci di fronte a una patologia multidisciplinare ha condizionato, allargato e modificato il trattamento farmacologico. Una delle difficoltà maggiori incontrate, che si è verifica più volte nell’arco della giornata, è stata il “dover ragionare a distanza “o sulla base del resoconto dei colleghi e infermieri.
Siamo partiti con delle regole a cui non eravamo abituati, come l’uso costante di doppi guanti, disinfettanti, calzari, camici, mascherine, occhiali, visiere e cuffie, gli occhi erano l’unica parte visibile del corpo; era cambiato anche il modo di lavorare, di districarsi fra zona sporca, zona pulita e principalmente di interfacciarci con i nostri pazienti, spesso impauriti, a volte terrorizzati o depressi.
Per loro la voce era l’unico elemento di riconoscimento a cui non veniva associato un volto, d’altra parte la barriera costruita era necessaria per proteggere noi e i nostri cari dal contagio. Tutti noi, una volta tornati a casa, abbiamo vissuto un ulteriore isolamento forzato.
Purtroppo la necessità di limitare i rischi di contagio, di ottimizzare il consumo dei DPI, di mantenere i pazienti in isolamento, limita i contatti tra le persone ed elimina quasi del tutto il rapporto umano.
Per un anziano, abituato a vivere nel proprio ambiente e a relazionarsi sempre con i propri cari, trovarsi spesso da solo per tutta la giornata, può essere devastante e al medico, non può mancare la sensazione di non avergli dato quella parola in più che l’avrebbe rasserenato.
Nel primo mese abbiamo lavorato intensamente anche con turni massacranti di 12 ore, perché eravamo in pochi, non pensavamo alla stanchezza, eravamo presi dal lavoro, dai sempre nuovi ricoveri che andavano via via a sostituire i deceduti e i dimessi.
Non ho mai visto nessuno scoraggiarsi, gridare, perdere la calma o lamentarsi…nonostante il lavoro sia stato spesso massacrante, in più la vestizione, l’uso dei DPI hanno reso ogni manovra più complicata e difficoltosa del normale. In particolare, ho incontrato dei colleghi fantastici, sempre sorridenti, scherzosi e mai stanchi del lavoro. Non li ho visti mai demotivati o desiderosi di tirarsi indietro. Il giro visita lo paragono ad una maratona in termini di sforzo fisico, si arriva alle due arsi dalla sete e nervosi per il fastidio che ti procurano i DPI. Tutto questo in ogni caso svanisce in un attimo quando il pensiero va ai nostri pazienti ed ai loro familiari. La degenza in un reparto Covid assomiglia a una prigionia!
L’arma vincente di questi reparti è stata sicuramente quella di creare dei team di professionisti multidisciplinari composti da infettivologi, pneumologi, cardiologi, internisti e rianimatori che hanno messo al servizio di tutti le proprie competenze, facendo crescere di giorno in giorno il gruppo. Tutto questo ci ha reso meno soli e più forti, e ci ha regalato una esperienza unica.
La presenza di colleghi, provenienti da realtà diverse e con un background profondamente differente, ha fatto si che si stabilisse, fra tutti e da subito, un ottimo rapporto professionale ed umano, favorito, anche, dal desiderio di crescere professionalmente in un campo in cui tutti si era, e si è, ancora ai primi passi, e in cui l’esperienza dell’altro, giovane o anziano è stata estremamente preziosa e ha creato e rafforzato un’amicizia che difficilmente si sarebbe realizzata con anni di conoscenza. A loro sono dedicati questi miei pensieri e a tutti coloro che ci sono stati vicini, infermieri, OSS, amici, parenti, pazienti e non per ultimo i coordinatori.

Specialista Malattie Apparato Respiratorio – Lecce