VALUTARE L’INFLUENZA DI QUESTI FATTORI IN TERMINI DI SALUTE E DI MALATTIA
La Medicina di Genere si interessa dello studio delle differenze biologiche e socioculturali tra uomini e donne e l’influenza di questi fattori in termini di salute e di malattia, nonché di risposta alle terapie. Per quanto riguarda la pandemia COVID 19, i dati disaggregati per sesso nella percentuale dei contagi e nel tasso di letalità sono stati registrati già da febbraio 2020 in Cina e sono stati raccolti successivamente in molti paesi colpiti dalla pandemia.
Dai dati disaggregati è emerso che le donne hanno una maggiore suscettibilità per quanto riguarda le malattie infettive virali ma negli uomini si osserva un esito peggiore. Queste differenze erano già state rese note per le precedenti pandemie di SARS nel 2002-2003 e MERS nel 2012. Le ragioni alla base di tutto questo possono essere spiegate da differenze associate al genere e differenze legate al sesso. Per quanto riguarda le differenze legate al genere nei contagi annoveriamo diverse abitudini sociali e comportamentali che portano ad una maggiore esposizione delle donne alle malattie infettive.
Anche senza la pandemia le responsabilità di cura di solito ricadono sulle donne, a maggior ragione in questa emergenza con la chiusura di scuole, la mancanza di aiuto in casa, le donne hanno visto aumentare il carico di lavoro e lo stress, con maggior esposizione alla possibilità di infezione. Negli studi di genere condotti per la epidemia di Ebola nel 2013-14 si è osservato che le donne avevano maggior probabilità di essere infettate dal virus, dato il loro ruolo predominante di caregiver all’interno della famiglia e per la preponderante presenza come operatori sanitari in prima linea. Anche dai dati raccolti in Italia durante questa pandemia è risultato che il 69% degli operatori sanitari infetti è donna. Altre nazioni riportano dati simili: Stati Uniti 73%, Spagna 72% e Germania 75%).
ABITUDINI SOCIALI E COMPORTAMENTI PORTANO AD UNA MAGGIORE ESPOSIZIONE DELLE DONNE
Per le differenze legate al genere nella letalità da SARS-CoV-2 si sono messe in evidenza importanti differenze negli stili di vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di mantenere cibi sani e abitudini di esercizio fisico per rafforzare il sistema immunitario ed evitare abitudini non salutari come il fumo e il consumo eccessivo di alcol. Infatti l’abitudine tabagica più diffusa tra gli uomini li espone a maggiori probabilità di essere a rischio di sviluppare una malattia grave. Inoltre nelle forme più severe dei casi di COVID 19, sono presenti comorbidità preesistenti, quali ipertensione, malattie cardiovascolari e malattie polmonari che si sono osservate più frequentemente negli uomini.
Per quanto riguarda invece le differenze legate al sesso, cioè ai fattori biologici, le ipotesi più validate sono:
- L’importanza dei fattori genetici, legati all’arricchimento sul cromosoma X di geni e di regolatori dell’espressione genica che codificano fattori della risposta immunitaria alle infezioni (interleuchine, chemochine).
- L’Ipotesi di una maggiore espressione dell’enzima di conversione dell’angiotensina nelle donne, che sarebbe alla base del vantaggio di essere protette dalle complicanze dell’infezione COVID-19. Infatti nelle cellule femminili, per impedire l’eccesso di espressione dei prodotti dei geni presenti in doppia copia sui cromosomi X, si determina una inattivazione casuale di uno dei due cromosomi presenti, alcune porzioni cromosomiche però sfuggono all’inattivazione e una di esse è la regione che codifica l ‘ACE2, che può essere così sovra-espresso.
- La risposta immunitaria più efficace nelle donne rispetto agli uomini. La differente risposta è dovuta agli effetti opposti degli ormoni sessuali, estrogeni e androgeni: gli estrogeni sono immunostimolanti, gli androgeni immunosoppressivi. La risposta immunitaria, più pronta e intensa nelle donne che negli uomini, potrebbe giocare un ruolo importante nella progressione della COVID-19. Gli ormoni sessuali oltre ad avere un all’effetto immunomodulatore, nel caso di SARS-CoV-2 potrebbero essere coinvolti nel meccanismo stesso dell’infezione. Negli uomini sembra che androgeni svolgano un ruolo immunosoppressivo favorendo la diffusione dell’infezione nelle cellule polmonari. Gli estrogeni, almeno nelle donne in età fertile, inducono un aumento dell’espressione del recettore ACE2 e fanno sì che questo enzima riesca a svolgere la sua funzione protettiva, anche dopo l’infezione in particolare nei confronti dei polmoni.
A conforto di questi presupposti eziologici sulle differenze di genere nella pandemia, sono stati raccolti e pubblicati molti dati epidemiologici, raccolti in maniera disaggregata rispetto al sesso, che riguardano le manifestazioni cliniche e gli esiti della infezione da SARS-CoV-2. I dati mostrano che in Cina gli uomini hanno presentato manifestazioni cliniche più severe rispetto alle donne e un tasso di letalità più elevato, pari al 4,7% a fronte del 2,8% riscontrato nelle donne. I dati italiani confermano questo andamento con un tasso di letalità molto maggiore negli uomini rispetto alle donne.
Per quanto riguarda i contagi in Italia, sempre in base ai dati presentati nel bollettino di sorveglianza integrata COVID19 dell’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale di casi confermati positivi è simile nei due sessi, nelle fasce di età 0-60 anni, mentre nelle fasce 60-80 anni si osserva una prevalenza di casi di infezione negli uomini. Nelle fasce di età >90 anni si osserva invece una maggiore distribuzione dei casi fra le donne. Non sono ancora disponibili informazioni certe sulle differenze di genere nelle percentuali di guarigione, né dei risultati ottenuti dai protocolli terapeutici approvati da AIFA attualmente in corso.
A questo proposito sarà importante da parte di tutti gli operatori che hanno in cura pazienti Covid, segnalare le reazioni avverse da farmaci e gli effetti collaterali della terapia in modo da potere analizzare i dati anche in funzione del sesso, per quanto concerne le interazioni con terapie in corso e la risposta alle terapie. E’ importante, nell’impostare una terapia, tenere presenti le differenze di genere farmacocinetiche e farmacodinamiche che sono già note e le conoscenze di genere che abbiamo su molte patologie. In campo cardiologico ad esempio è noto da tempo che le donne sono più soggette alla sindrome del QT lungo e alcuni dei farmaci previsti per l’uso off-label nei protocolli approvati da molte regioni, come l’ idrossiclorochina e l’azitromicina, possono determinare allungamento del tratto QT. Avere presente queste conoscenze e preferire l’uso di diversa terapia antibiotica concomitante all’uso di idrossiclorochina, se richiesto dalla clinica, può ridurre il rischio in maniera significativa.
Le considerazioni fatte dal gruppo di lavoro dell’Istituito Superiore di Sanità su genere e covid 19: “Conoscere le reali differenze di genere in termini di incidenza e letalità rappresenta il primo passo per investigare i meccanismi biologici e/o sociali alla base di queste differenze al fine di identificare strategie preventive e bersagli terapeutici specifici per uomini e donne. Politiche di intervento che prendano in considerazione le esigenze delle donne che lavorano in prima linea, per esempio come operatrici sanitarie, potrebbero aiutare a prevenire i più alti tassi di infezione che vediamo nel sesso femminile in questa fascia di popolazione.
Inoltre, uomini e donne tendono a reagire in modo diverso ai potenziali vaccini e trattamenti, quindi avere accesso a dati disaggregati per sesso risulterebbe fondamentale per condurre studi clinici più appropriati”, sono condivisibili. Però, se la raccolta dei dati epidemiologici disaggregati per sesso è cominciata, ad oggi nulla è stato fatto per promuovere un approccio di genere nella gestione della pandemia, è auspicabile che almeno nella programmazione delle strategie di protocolli di prevenzione e trattamento se ne tenga conto perché un approccio di genere nella pratica clinica contribuisce al miglioramento dell’appropriatezza delle cure con beneficio per la cura della persona e risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale.

Medico di Medicina Generale
Delegata Regionale Associazione Italiana Donne Medico
Bibliografia
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