Numero 2 – 2021
Scritto dal Dott. Pier Vitale Nuzzo
L’ESPERIENZA DI RICERCATORE PRESSO IL CENTRO ONCOLOGICO DELL’UNIVERSITA’ DI HARVARD
Pier Vitale Nuzzo è originario di Marittima (Le), un paese a cui è rimasto fortemente legato. Ha conseguito la laurea con lode in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Genova e, sempre a Genova si è specializzato in Oncologia Medica. Successivamente ha conseguito il Dottorato in Oncologia ed Ematologia sempre presso l’Università di Genova in collaborazione con il Dana Farber Cancer Institute (DFCI) di Boston, il centro oncologico dell’Università di Harvard.
D) Perché hai deciso di lavorare in U.S.?
R) Lavorare negli USA non era stato programmato e non ci avevo mai pensato. Durante il periodo del Dottorato è possibile trascorrere alcuni mesi in centri di ricerca internazionale. Il mio progetto di Dottorato aveva come tema la biopsia liquida nei tumori. Il DFCI stava sperimentando nuovi e innovativi approcci riguardo al tema della biopsia liquida. Per questo motivo, insieme al mio tutor di Genova, ho deciso di trascorrere un periodo di ricerca nei loro laboratori per apprendere le nuove tecnologie e far parte di nuovi e innovativi progetti di ricerca. Successivamente, in seguito ai risultati delle mie ricerche e alla vincita di alcuni finanziamenti, ho ricevuto la proposta di lavorare al DFCI come Ricercatore e condurre in maniera indipendente le mie ricerche.
D) Come funziona la formazione post-laurea in US?
R) Nonostante le sue problematiche, il sistema di formazione italiano dà eccellenti basi che permettono di competere con altri ricercatori internazionali. Credo che la formazione post-laurea in US differisca da quella italiana per motivi economici, meritocratici e investimento in giovani.
Economia: L’America è il paese che di più al mondo investe in scienza perchè crede fortemente che la ricerca scientifica consente di essere competitivi nel “mercato” della conoscenza, di restare al passo con i Paesi più avanzati, di garantire il benessere della popolazione e di aumentare la ricchezza economica. Proprio per questo motivo, cittadini privati, associazioni, aziende multimiliardarie come Amazon, Apple, Microsoft, Google etc. investono grandi somme di denaro in ricerca e infrastrutture per fare ricerca. Se si ha una buona idea, non si hanno molte difficoltà ad accedere a fondi pubblici o privati, e lavorare in centri con infrastrutture adeguate, per lo sviluppo della propria ricerca.
Meritocrazia: la formazione post-laurea in America, come nella maggior parte dei paesi europei si basa su libertà, pari opportunità e regole trasparenti che sono alla base della meritocrazia. La promozione avviene in base ai risultati raggiunti e/o al lavoro svolto. La cultura italiana penalizza il merito e le competenze a vantaggio di altri meccanismi di promozione professionale, come l’appartenenza e le relazioni.
Investimento in giovani: L’America investe tantissimo nei giovani medici e ricercatori e ci sono tantissimi fondi di ricerca dedicati ai giovani ricercatori, perchè hanno idee nuove e al passo con i tempi. Inoltre, sono sempre seguiti da un mentore più grande che li guida in base alla sua esperienza, competenza e capacità per raggiungere l’obiettivo. In Italia c’è una sorta di discriminazione in base all’età in ambito della ricerca e non in base alla competenza e capacità. E’ difficile farsi strada e allora si preferisce spostarsi all’estero.
R) Quali sono ora i tuoi obiettivi di ricerca?
R) Mi occupo prevalentemente di tumori genitourinari e ho due filoni di ricerca: la diagnosi precoce dei tumori attraverso la biopsia liquida e l’immunoterapia. Per quanto riguarda il primo filone di ricerca, abbiamo messo appunto un test che sembra essere in grado di fare diagnosi di tumore attraverso lo studio del DNA tumorale circolante metilato nel sangue e nelle urine. I risultati di questo progetto, che mi hanno permesso di vincere un premio internazionale, sono stati pubblicati su Nature Medicine la scorsa estate.
Per quanto riguarda l’immunoterapia cerchiamo di capire quali sono i pazienti che beneficiano dell’immunoterapia, i motivi per i quali alcuni pazienti non rispondono meglio di altri e la caratterizzazione e prevenzione degli effetti collaterali legati all’immunoterapia.
R) Sei contento della scelta fatta?
R) Assolutamente sì. Un periodo di ricerca o una esperienza all’estero in un altro laboratorio/ospedale o in un centro di ricerca prestigioso è utile e formativo per vari motivi. Si lavora di solito in ambienti multiculturali con ricercatori provenienti da diverse parti del mondo. Io ad esempio lavoro con altri otto colleghi provenienti da Corea, Ungheria, Iran, Libano, Cina oltre che Stati Uniti. Questo permette di stabilire amicizie e relazioni professionali utili per la carriera futura o per la programmazione di progetti di ricerca futuri, ma permette anche di affrontare i problemi in campo della ricerca da diversi punti di vista. Inoltre, si scoprono e si apprendono nuove tecnologie e protocolli, alcuni dei quali sono in grado di cambiare il corso della medicina negli anni successivi.
Per molti ricercatori questo è un periodo transitorio. Ossia, molti dei miei colleghi europei, apprendono le nuove tecniche, stabiliscono importanti relazioni e poi tornano nel loro Paese e nella loro struttura ospedaliera universitaria con il bagaglio di conoscenze apprese, continuando a fare ricerca. Questo è difficile per molti italiani. A causa dei tagli alla ricerca e del mancato investimento in nuove tecnologie è a volte quasi impossibile continuare a fare ricerca ad alti livelli o semplicemente riproporre le nuove tecnologie apprese all’estero.
R) Pensi di tornare in Italia?
R) Sono molto contento che finalmente si stia concretizzando l’apertura della Scuola di Medicina a Lecce. Molti medici salentini, dopo essersi formati in altre università italiane o straniere, e aver appreso i pro e contro del loro sistema formativo e ospedaliero, avrebbero voluto (o hanno voglia) di tornare in Salento e continuare a lavorare in un ospedale accademico. La Scuola di Medicina con uno o più ospedali accademici non può far altro che portare enormi vantaggi per la medicina nel Salento: nuovi fondi per ricerca, ricerca in ambito clinico attraverso l’accesso a farmaci in fase sperimentale, la possibilità di scrivere nuovi protocolli e progetti sperimentali, medici più motivati grazie a una sana concorrenza accademica, accesso a trattamenti che sono disponibili solo attraverso istituzioni accademiche.
Molti miei colleghi, dopo una esperienza internazionale, e volendo continuare a fare ricerca, sono tornati nelle loro città natale, che avevano la fortuna di avere delle strutture accademiche nelle quali continuare i loro progetti. Ho avuto anche io la possibilità di tornare a lavorare in un centro accademico italiano, ma mi sarei sentito sempre un ospite. Con la Scuola di Medicina a Lecce ci sarà in futuro – me lo auguro – la possibilità di continuare a fare ricerca medica in un centro accademico della mia terra. Dopo essere cresciuto professionalmente a Boston nell’Università di Harvard, dopo l’estate andrò a lavorare come Assistant Professor alla Cornell University di New York, nel laboratorio del Prof. Massimo Loda, un grande ricercatore italiano internazionale, amico anche di Pier Paolo Pandolfi che più volte la tua rivista ha intervistato. Sfrutterò i prossimi anni per cercare anche io di dare, sempre se possibile, un contributo alla Scuola di Medicina di Lecce, magari attraverso una collaborazione con la struttura nella quale lavoro o sfruttando la legge del rientro dei cervelli per fare rientro in Italia, in Salento.

Specialista in Oncologia Medica – Ricercatore presso il Dana Faber Cancer Insitute – Harvard University, Boston, Massachusetts, Stati Uniti d’America (OMLE 7404) Originario di Marittima di Diso