QUANDO NON C’E’ PIU’ NIENTE DA FARE, C’E’ ANCORA TANTO DA FARE
A fine maggio 1978, alle soglie della specializzazione in Anestesia e Rianimazione, attratto dal titolo del Convegno e dalla sede dell’evento piuttosto che da interesse concreto ed immediato, partecipai al primo simposio internazionale dedicato al Dolore nel Cancro Avanzato che si tenne a Venezia, organizzato dalla Fondazione Floriani di Milano.
Fu un evento speciale. Il saluto ai partecipanti provenienti da tutto il mondo fu portato dall’allora Patriarca di Venezia S.E. Card. Albino Luciani, che appena tre mesi dopo fu chiamato a Roma come successore della Cattedra di Pietro con il nome di Giovanni Paolo I.
Era presente il mitico Prof. J.J. Bonica (1917-1994), scienziato siculo-americano, tutta una vita dedicata alla diagnosi ed al trattamento del dolore. Vi erano settanta relatori, il fior fiore mondiale, a parlare di tutti gli aspetti del problema: psicologici, sociali, oncologici, antalgici.
Vi era pure una relatrice, una Infermiera, Cicely Saunders (1918-2005), che tenne una lezione sul dolore del paziente “terminale” e sul concetto di Hospice.
Questa donna, caparbia, aveva dato seguito ad una promessa: “Sarò una finestra nella tua casa”, le aveva detto un sopravvissuto alle stragi naziste, prima di morire in un ospedale londinese per un cancro dello stomaco, lasciando a Cecilia Saunders 500 sterline.
Ci vollero quasi venti anni di impegno e tanti altri soldi, ma nel 1967 il St. Christopher Hospice a Sydenham, un sobborgo di Londra, poteva accettare il primo paziente con tumore in fase avanzata, assicurando un’adeguata assistenza non solo medica, ma anche psicologica, spirituale ed alberghiera.
In tempi precedenti si erano sviluppate altre esperienze di strutture per l’accoglienza di ammalati nella fase finale della vita: a metà ottocento le case delle “Donne del Calvario” per iniziativa di Madame Garnier in Francia, il St. Luke Home “for the dying poor” fondato da Howard Barrett nel 1890, il St.Joseph Hospice a Hackney fondato dalle Irish Systers of Charity a Hackney nel 1905.
Ma il St. Christopher Hospice rappresentò una pietra miliare nello sviluppo delle strutture per l’assistenza dei pazienti con malattie inguaribili ed è stato decisivo per lo sviluppo scientifico delle “cure palliative” perché fu il primo ad associare all’assistenza clinica, la ricerca e la formazione.
Nacque infatti il “Movimento Hospice” a New Haven nel Connecticut nel 1974 ad opera di Florence Wald preside della Scuola per Infermieri dell’Università di Yale, proprio al ritorno di un soggiorno di studio al Sr. Christopher. Da allora gli hospices si sono sviluppati in tutto il mondo.
In Italia, agli inizi degli anni 80, sotto l’impulso e con il supporto finanziario della Fondazione Floriani di Milano, la stessa che aveva organizzato quel convegno a Venezia nel 1978, nacque ad opera di un anestesista, il Prof. Vittorio Ventafridda, la prima “Unità di Cure Palliative” all’interno dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori. Successivamente gli Hospices si sono moltiplicati su tutto il territorio nazionale e, nel nostro Salento, due efficienti strutture operano da tempo a San Cesario (ASL Lecce) ed a Tricase (Casa Betania – Ospedale Card.G.Panìco).
Una pietra miliare nello sviluppo delle cure palliative in Italia ed in generale per l’assistenza ai malati in fase avanzata di malattia è da considerarsi la Legge 38/2010 rubricata come “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. In essa le cure palliative sono definite come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”
In base a tale Legge dello Stato le cure palliative sono un diritto inviolabile di ogni cittadino affetto da qualsivoglia “patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie o, se esse esistono, sono inadeguate o sono risultate inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita, nonché la persona affetta da una patologia dolorosa cronica da moderata a severa.”.
Pertanto esse riguardano pazienti affetti da patologie oncologiche e non oncologiche, caratterizzate dall’andamento cronico evolutivo per le quali vi è scarsa o nulla possibilità di guarigione o di stabilizzazione terapeutica, e pazienti affetti da dolore cronico moderato-severo.
Più recentemente , la legge 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, pur affermando la possibilità del malato di rifiutare o revocare il consenso a qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario o a parti di esso, comprese nutrizione e idratazione artificiali, statuisce che il rifiuto o la revoca di un trattamento sanitario non possono comportare l’abbandono terapeutico perché sarà sempre assicurata l’erogazione delle cure palliative.
Quando non c’è più niente da fare, c’è ancora tanto da fare (Prof. Vittorio Ventafridda).
Quando non è più possibile praticare terapie utili per guarire o stabilizzare l’evoluzione di una malattia è comunque possibile – e doveroso – intervenire per migliorare la qualità della vita con cure che riguardano l’individuo come “persona” con bisogni non solo fisici ma anche psicologici, sociali, affettivi, spirituali. Il dovere di prendersi cura del malato cosiddetto “inguaribile” è peraltro ben esplicitato nel nostro Codice Deontologico.
Le cure palliative allontanano i malati dalla tentazione dell’eutanasia ed i medici dalla tentazione dell’accanimento terapeutico. Esse sono un diritto dell’ammalato ed un dovere del medico, sancito dal Codice deontologico e da Leggi dello Stato. Esse possono essere declinate nella forma del setting residenziale (Hospice) o in quelle dell’Assistenza Domiciliare Integrata (A.D.I.) a seconda del contesto in cui emerge l’esigenza, e non devono essere l’ultima spiaggia: esse possono essere “precoci” affiancando le terapie farmacologiche strumentali e chirurgiche messe in atto per contrastare l’evoluzione della malattia.
Questo numero di S.M. raccoglie alcuni contributi presentati in un Corso ECM sulle Cure Palliative tenutosi presso la sede dell’OMCeO di Lecce nel 2022, sotto la responsabilità scientifica della Dr.ssa Evelina Pedaci e del Dr.Sandro Petrachi.
Abbiamo ritenuto opportuno offrire ai lettori di Salento Medico alcuni dei contributi scientifici di tale Corso che ha visto la partecipazione attenta ed attiva di tanti Medici.
La storia di Andrea
- Affetto da Trisomia 21.
- Sviluppo psicofisico condizionato dalla situazione genetica
- Diplomato al Liceo Artistico.
- Affetto da DISPLASIA DELLA GIUNZIONE CRANIO-CERVICALE CON STENOSI DEL FORAME MAGNO
- A 19 anni intervento di stabilizzazione vertebrale
- A 21 anni tiroidectomia tot. (gozzo tiroideo)
- Segni progressivi di compromissione midollare
- A 25 anni rimozione dell’arco anteriore dell’atlante e del dente dell’epistrofeo
- Tetraparesi con evoluzione rapida in tetraplegia flaccida con conseguente grave Insufficienza Ventilatoria
- A 26 anni: racheostomia. Ventilazione meccanica h.24. da allora ADI (assistenza domiciliare integrata) di terzo livello.
- Cure a casa: Gestione della tracheostomia e della ventilazione meccanica. Sostituzione periodica della cannula tracheostomica. Allettamento. Prevenzione accurata di lesioni cutanee. Gestione catetere venoso e catetere vescicale.
- Negli anni condizione clinica ulteriormente aggravata da trombosi venosa multidistrettuale documentata con esami angiografici (trombosi murale delle due vene giugulari interne, delle vene anonima, delle succlavie e della vena cava superiore. Ampi circoli collaterali con ritorno venoso garantito dal sistema azygos, emiazygos e cava inferiore)
- All’ età di quasi 40 anni, dopo 14 anni di Ventilazione Meccanica 24 ore su 24 , in assistenza domiciliare, Andrea muore.
La “sua” qualità di vita in “assistenza Domiciliare”
- Intelligente, dotato di spiccato senso dell’humour, Andrea seguiva con passione – attraverso la TV – le vicende sportive.
- Voleva essere «informato» sul suo stato di salute e sulle procedure che si rendevano necessarie.
- Emanava dolcezza e serenità, sorrideva sempre, continuava ad avere tanti amici. Non ha mai manifestato cedimenti o scoramenti.
- Ambiente familiare straordinario.
Cosa ci ha insegnato Andrea
- La legge 219/2017 ha definito la “relazione di cura” come processo basato su fiducia, comunicazione ed informazione. «il tempo della comunicazione tra Medico e Paziente costituisce tempo di cura» (art.1 co.8)
La “relazione di cura”, così intesa, ha «accompagnato» Andrea nel suo percorso diagnostico-terapeutico. Infatti le cure ricevute da Andrea sono state da lui sempre accettate consapevolmente, condivise con i medici gli infermieri ed i familiari, coerentemente con il suo progetto di vita.
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- L’assistenza avuta da Andrea rispondeva pienamente ai canoni dell’ “appropriatezza clinica “ ( Andrea è stato sottoposto a numerosi trattamenti, nessuno dei quali è stato sproporzionato – non vi è stato mai accanimento terapeutico ) e dell’ “appropriatezza organizzativa” poiché l’assistenza domiciliare, durata ben 14 anni , si è dimostrata essere efficace (ha- per esempio- certamente ridotto la morbilità infettiva), equa relativamente alla distribuzione delle risorse, efficiente nel rapporto tra risorse impiegate e risultati.
- Andrea, pur consapevole delle sue limitazioni e pur sofferente per esse, ha dimostrato sempre di considerare la “sua “vita degna di essere vissuta.

Anestesista e Pneumologo, Lecce. Direttore di Salento Medico