A colloquio con il professore francesco cannazza, salentino e tra i massimi esperti mondiali del settore
Dalla lettura di una ricerca pubblicata il 30 dicembre 2019 su Scientific Reports, rivista che fa parte del network di Nature, abbiamo appreso la scoperta di un nuovo cannabinoide, il THCP, più potente del THC a noi già noto. Tale ricerca ha avuto come protagonista un team di scienziati tutti italiani che fa capo al Prof. Giuseppe Cannazza, nostro conterraneo, diplomato al Liceo Scientifico De Giorgi di Lecce, oggi professore di Chimica Farmaceutica presso l’Università di Modena-Reggio Emilia e consulente dell’ OMS , ed è stato effettuato In collaborazione con il CNR- Nanotec di Lecce, la sezione di Farmacologia dell’ Università della Campania ed il Dipartimento di Chimica dell’ Università la Sapienza di Roma (A novel phytocannabinoid isolated from Cannabis sativa L. with an in vivo cannabimimetic activity higher than Δ9-tetrahydrocannabinol: Δ9-Tetrahydrocannabiphorol – Scientific Reports, 30 dicembre 2019).Tale ricerca apre spiragli interessanti per un più razionale utilizzo della Cannabis in ambito terapeutico e per una eventuale estensione del suo uso in altre patologie. La Redazione di Salento Medico ha contattato il Prof. Cannazza il quale si è reso subito disponibile per questa interessante intervista, e di ciò lo ringraziamo.
DA LECCE A MODENA: UNA VITA DEDICATA ALLA RICERCA
Giuseppe Cannazza, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore e ricercatore associato al CNR NANOTEC di Lecce, è docente del corso di Chimica Farmaceutica I per il corso di laurea in Farmacia.
La sua attività di ricerca è rivolta principalmente verso lo studio di molecole di origine vegetale e sintetica con attività sul sistema nervoso centrale. È il responsabile nazionale del progetto UNIHEMP cofinanziato dal MIUR per la valorizzazione della filiera della canapa. Autore di 75 articoli scientifici su riviste internazionali peer reviewed, è stato selezionato in un bando internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la scrittura delle pre-reviews topic chemistry su Cannabis. Inoltre è stato consulente per l’OMS nell’ambito del 40th meeting of the Expert Committee on Drug Dependence (ECDD), Geneva, Switzerland, 4-7 June 2018.
Intervista al dr. cannazza
D) Prof. Cannazza, il mondo vegetale fornisce da secoli all’umanità rimedi terapeutici insostituibili o comunque particolarmente preziosi. E’ sufficiente pensare all’atropina, alla digitale, alla morfina ed ad altre sostanze ancora. Lei da tempo studia molecole di origine vegetale attive nel sistema nervoso centrale. Il mondo vegetale continua ad essere una fonte di sostanze utili per il nostro organismo?
R) Il mondo vegetale è sempre stato una fonte molto ricca di principi attivi come la morfina, la digitale, la chinina, la tubocurarina ecc. Alcuni di questi principi sono impiegati così come tali, esempio la chinina, altri sono stati il punto di partenza per la preparazione di prodotti sintetici come gli anestetici locali sintetizzati sulla base della struttura della cocaina. Tuttora il mondo vegetale è una fonte privilegiata di prototipi di farmaci. Un esempio abbastanza recente è dato dall’antitumorale paclitaxel (taxolo) isolato dall’albero di Tasso e dall’antimalarico artemisinina, isolato da una pianta cinese.
Le piante contengono una vasta varietà di strutture chimiche estremamente complesse e diverse che difficilmente verrebbero sintetizzate in un laboratorio. Poi l’evoluzione naturale ha già compiuto una selezione in base al principio secondo il quale una pianta ha maggiori probabilità di sopravvivenza se contiene sostanze molto tossiche (quindi generalmente farmacologicamente molto attive) che scoraggiano animali ed insetti ad utilizzarle come cibo.
D) I suoi studi, in anni recenti, si sono indirizzati verso la cannabis, da lei definita come una vera e propria “industria farmaceutica”. Quali e quante sostanze farmacologicamente attive sono presenti nella cannabis?
R) Anche se ero partito estremamente prevenuto nei confronti della cannabis, appena ho iniziato a studiarla me ne sono innamorato. E’ una pianta fantastica dal punto di vista chimico farmaceutico con una miriade di sostanze farmacologicamente attive: oltre 150 fitocannabinoidi, 200 terpeni senza contare i flavanoidi. Sulle infiorescenze femminili di questa pianta, sono presenti dei tricomi ghiandolari, una sorta di peletti con all’estremità una sacca ghiandolare contenenti un’oleoresina costituita principalmente da fitocannabinoidi e terpeni. E’ qui che si nasconde il tesoro chimico farmaceutico della cannabis.
D) Parliamo dei cannabinoidi. Noi ne conoscevamo, sino a poche settimane fa, fondamentalmente due , il THC ed il CBD, il primo responsabile di effetti farmacologici e tossici, il secondo con effetti di bilanciamento rispetto al THC. Leggendo i suoi lavori, apprendiamo che i cannabinoidi presenti nella cannabis sono molti di più. Quali sono i più interessanti da un punto di vista farmacologico?
R) In realtà col termine “cannabinoidi “ si intendono tre diversi tipi di sostanze: i fitocannabinoidi, prodotti dalla cannabis, gli endocannabinoidi, prodotti dal nostro organismo e i cannabinoidi sintetici, prodotti mediante sintesi chimica. Quindi quando parliamo di cannabinoidi della cannabis in realtà parliamo dei fitocannabinoidi. Di quest’ultimi ne sono stati scoperti fino ad ora oltre 150.
I due principali e più famosi sono certamente il THC e il CBD scoperti negli anni ’60 dal prof. Mechoulam. Da allora il loro numero è aumentato notevolmente. In ogni modo i fitocannabinoidi più studiati dal punto di vista farmacologico sono sicuramente il THC e il CBD ed è per questo che dal punto di vista medico si parla principalmente di questi due. Ma non si deve dimenticare che, recentemente, altri fitocannabinoidi come il cannabigerolo CBG, la tetraidrocannabivarina THCV la cannabidivarina CBDV, sono oggetto di numerosi studi farmacologici ed è quindi prevedibile che nel prossimo futuro anche questi verranno impiegati in ambito medico per specifiche patologie. Insomma siamo ancora ai primi passi dell’applicazione medica della cannabis.
D) Parliamo in particolare del THCP. Noi medici abbiamo scarse conoscenze di chimica, e per di più spesso datate. Come potrebbe spiegarci in modo semplice la strada che ha portato lei ed il suo gruppo ad isolare questa sostanza?
R) Con il mio gruppo di ricerca stiamo da alcuni anni applicando l’ultima nata delle scienze chimiche: la metabolomica. Questa è una nuova tecnica analitica che mira ad analizzare il maggior numero di composti presenti in un campione analitico sia esso di origine animale che vegetale. La dott.ssa Cinzia Citti del CNR NANOTEC di Lecce ha analizzato dei campioni di canapa con questa tecnica e così ha individuato dei nuovi fitocannabinoidi, come il CBDB, THCB, THCP e CBDP.
Il Ministero della Salute ha quindi autorizzato il mio laboratorio ad effettuare studi sulla cannabis FM2 prodotta dallo Stabilimento Farmaceutico Militare e le analisi effettuate su questa varietà hanno permesso di confermare la presenza del CBDP e del THCP. Il dott. Pasquale Linciano, un altro leccese, ha poi sintetizzato queste nuove molecole che sono risultate identiche a quelle ipotizzate dalla dott.ssa Citti. Il prof. Livio Luongo dell’Università Vanvitelli di Napoli ha poi eseguito i test farmacologici sui topi evidenziando le attività biologiche. Insomma un gran lavoro di squadra che ha richiesto circa due anni di lavoro.
D) Quali i suoi effetti in vitro?
R) I THC esplica la sua azione in vivo interagendo con almeno due particolari recettori che sono detti CB1 e CB2. In particolare il CB1 si ritiene che sia responsabile dell’attività psicotropa di questo composto. Data la somiglianza chimica tra THC e THCP il primo test effettuato è stato quello di valutare la sua affinità in vitro per i recettori CB1 e CB2. I risultati sono stati “stupefacenti”: il THCP si legava a questi recettori con una affinità circa 33 volte superiore a quella del THC.
D) Quali i suoi effetti sui topi?
R) I risultati in vitro suggerivano un’elevata attività psicotropa per questo composto ma, come spesso accade, lo stesso non avviene in vivo soprattutto per problemi di natura farmacocinetica. Quindi è stato chiesto l’aiuto ai farmacologi dell’Università Vanvitelli che hanno testato il THCP sui topi per valutarne l’attività cannabinomimetica mediante la cosiddetta tetrade. Questo test farmacologico consiste nella valutazione dell’ipomotilità, della catalessia, dell’ipotermia e dell’analgesia. Il THCP era attivo nei test già a metà della dose minima di THC che comunemente viene impiegata per ottenere lo stesso risultato.
D) Quindi vi sono differenti varietà di cannabis con un differente contenuto di cannabinoidi e di conseguenza con diverse proprietà farmacologiche?
R) Assolutamente si. La cannabis ha la particolarità di produrre determinati fitocannabinoidi a seconda della varietà. Esistono varietà ad alte concentrazioni di THC (come la varietà medica Bedrocan o FM1), ad alte concentrazioni di CBD (come la varietà medica Bedrolite) e quelle a concentrazione intermedia tra THC e CBD (come la varietà Bediol o FM2). Ciascuna di queste varietà ha proprietà farmacologiche diverse. Come già detto, nuovi studi sono in corso, per la valutazione delle attività farmacologiche di nuovi fitocannabinoidi come per esempio il cannabigerolo CBG o la cannabidivarina CBDV.
D) Teoricamente ci si potrebbe imbattere in una varietà di cannabis con una concentrazione molto elevata di THCP e quindi potenzialmente molto tossica?
R) I nostri attuali studi stanno valutando questa possibilità. Fino ad ora, non era disponibile lo standard di THCP e quindi non è mai stato cercato nelle diverse varietà di cannabis. Nel nostro articolo è stata descritta la sintesi chimica di questa nuova molecola in modo che ciascun laboratorio possa produrla come standard. Non appena sarà disponibile certamente le analisi chimiche sulle varietà di cannabis dovranno includere la determinazione del THCP per valutarne la tossicità.
D) Lo studio della composizione chimica della cannabis potrebbe portare alla produzione di piante di Cannabis diverse, potenzialmente utili per patologie diverse?
R) Molti studi si stanno rivolgendo alla selezione di varietà di cannabis con una composizione chimica standardizzata da impiegare per patologie diverse. Il problema è ancora la scarsa conoscenza delle proprietà farmacologiche dei fitocannabinoidi caratteristici delle singole varietà. Mentre per il THC e per il CBD si conosce abbastanza bene l’impiego terapeutico, per gli altri fitocannabinoidi c’è ancora tanta ricerca da fare.
D) Noi medici abbiamo bisogno di utilizzare prodotti di cui conoscere dettagliatamente composizione e dosi dei singoli componenti. Pensa che, per ottenere prodotti di composizione standardizzata, si debba necessariamente ricorrere alle classiche specialità farmaceutiche, oppure sono sufficienti preparazioni galeniche di tipo “officinale”?
R) L’impiego della cannabis come medicinale esce dagli schemi a cui i medici e noi ricercatori eravamo abituati. Generalmente quando una droga vegetale è farmacologicamente attiva, i chimici farmaceutici isolano il principio attivo responsabile della sua azione. Un esempio è dato dall’oppio dove il principio attivo morfina è stato isolato. Questo perché il medico non può prescrivere l’oppio, in quanto le concentrazioni e la composizione chimica sarà diversa a seconda della varietà di papavero dal quale è stato ottenuto. Bensì prescrive una soluzione di morfina la cui concentrazione è nota, in questo modo il medico conosce esattamente quanto principio attivo viene somministrato al paziente.
Il chimico farmaceutico poi inizia la sua opera di modificazione della struttura chimica del principio attivo per ottenere composti sempre più attivi e con meno effetti collaterali. La stessa strada era stata intrapresa per la cannabis: dopo aver isolato il principio attivo THC venne commercializzata la specialità medicinale contenente il principio attivo puro. Questa specialità era indicata principalmente nei casi di nausea e vomito in chemioterapia.
Nonostante la disponibilità della specialità medicinale, probabilmente a causa degli effetti collaterali psicotropi, i pazienti continuavano a preferire la cannabis come tale. Quindi le autorità sanitarie hanno permesso l’impiego degli estratti di cannabis. E’, infatti, attualmente in commercio una specialità medicinale che è un estratto con un contenuto in CBD e THC standardizzato, impiegato nel trattamento dei sintomi della sclerosi multipla. Contemporaneamente si è diffuso l’impiego di preparati galenici magistrali di estratti di cannabis preparati in farmacia.
Per quest’ultimi è sorto il problema della standardizzazione della composizione chimica in quanto a seconda della varietà e delle condizioni di coltivazione della cannabis impiegata e del metodo di estrazione si ottenevano galenici con diverso contenuto in principi attivi. Infatti anche la stessa varietà di cannabis coltivata in condizioni diverse porta ad un contenuto in fitocannabinoidi diverso. Questo problema è stato risolto selezionando varietà ben precise che vengono coltivate in condizioni standardizzate per ottenere droghe vegetali da utilizzare in medicina e che obbediscono alle indicazioni della monografia tedesca Cannabis Flos (unica monografia di una farmacopea di uno stato membro europeo e quindi con valore legale anche in Italia) che impone una variazione massima del contenuto in CBD e THC entro il 10% del valore indicato in etichetta.
Oggi sono disponibili diverse varietà di cannabis che il medico può prescrivere ciascuna con un contenuto in THC e CBD standardizzato come la varietà bedrocan e FM1 ad alto contenuto di THC e basso contenuto in CBD oppure la varietà bediol o FM2 con contenuto circa uguale in CBD e THC. Più difficile è la risoluzione del secondo problema cioè quello della standardizzazione dell’estrazione. Mancando un protocollo ufficiale, ciascun farmacista impiega metodi di estrazione diversi che porteranno a galenici con contenuto diverso anche partendo dalle stesse varietà standardizzate.
Accade così che se un preparato della farmacia x funziona verso una determinata patologia di un determinato paziente, lo stesso preparato della farmacia y non funzionerà. Qui il problema è ancora più complesso dal punto di vista chimico farmaceutico. Infatti la cannabis non produce THC e CBD bensì le corrispondenti forme carbossilate, le cosiddette forme acide: THCA e CBDA. Quest’ultime contengono un gruppo carbossilico acido che gli impedisce di superare la barriera emato encefalica e di arrivare al sistema nervoso centrale.
In pratica se si somministrasse per via orale cannabis ad alto contenuto di THC fresca, appena raccolta, in realtà questa contiene THCA priva di attività psicotropa. Mentre se la stessa varietà di cannabis viene “fumata”, il calore converte il THCA in THC che invece raggiunge facilmente il sistema nervoso centrale esplicando i suoi effetti psicotropi. Per questo motivo a scopo ricreazionale la cannabis viene “fumata”. Questo comporta che a seconda del riscaldamento applicato dal farmacista durante l’estrazione, il contenuto in THC e CBD del galenico varierà in modo significativo.
Per questo motivo il Ministero dell Salute con il decreto del 2015 ha imposto al farmacista di determinare la quantità dei principali fitocannabinoidi in ciascuna preparazione galenica oleosa a base di cannabis. A mio avviso l’unica via perseguibile per ottenere un preparato a base di cannabis standardizzato che non sia una specialità medicinale, è la scrittura di una monografia della farmacopea che riporta una preparazione standardizzata. Sarà così possibile per i farmacisti preparare dei galenici officinali in modo che medico e paziente sappiano quanto THC e CBD stanno rispettivamente prescrivendo ed assumendo. A questo proposito è già stata pubblicata una bozza ufficiale di monografia della farmacopea tedesca intitolata “Cannabis extractum normatum” (https://www.bundesanzeiger.de/ebanzwww/wexsservletsession.sessionid=3fb75e624282cb406b03f803864859da&page.navid=detailsearchlisttodetailsearchdetail&fts_search_list.selected=38a95f750acb0bb1&fts_search_list.destHistoryId=08927).
Quando nei prossimi mesi sarà approvata, questa avrà valore anche in Italia e i medici potranno prescrivere galenici a base di cannabis preparati secondo tale monografia. Questo sarà un notevole passo avanti verso la disponibilità di preparati galenici officinali standardizzati nella loro composizione chimica.
D) Le sue ricerche hanno messo in evidenza la presenza nella cannabis del THCP, sostanza molto più potente rispetto al THC la cui concentrazione è tuttora unico metro di misura per definire la canapa “light” e le preparazioni alimentari disponibili in commercio. Pensa che tali nuove acquisizioni dovranno portare a ridiscutere l’importanza esclusiva del THC in tali preparazioni?
R) Certamente il THC rimane la sostanza psicotropa principale e maggiormente rappresentata nella cannabis. In ogni modo, se le ricerche in corso dovessero dimostrare che la quantità di THCP nelle diverse varietà di cannabis raggiunge concentrazioni che possano avere effetti psicotropi allora bisognerebbe inserire questa nuova molecola tra quelle da ricercare nella canapa “light” e alimenti a base di canapa. I primi risultati, non ancora pubblicati, indicano che il THCP non è presente in varietà di cannabis a basso contenuto in THC e la sua presenza sembra essere associata a quella del THC stesso. Questi, comunque, sono i primi risultati di ricerche ancora in corso.
D) Le varietà di cannabis possono essere le più diverse, ognuna con diverso contenuto di cannabinoidi ad azione farmacologica diversa. Alla luce di questo, la Cassazione, secondo lei, dovrebbe rivedere la sentenza della Cassazione del dicembre 2019 con la quale consentiva la coltivazione della cannabis ad uso personale in piccole quantità?
R) Su questo punto non esprimo nessuna opinione. Penso che la scienza debba fornire gli strumenti ai politici che prenderanno le decisioni opportune. Gli scienziati devono rimanere obiettivi e liberarsi da preconcetti in modo da rispondere alle richieste di spiegazione di chi ha la responsabilità di legiferare per il bene comune. Come dicevo, fino a quando non sapremo se le concentrazioni di THCP nella cannabis siano sufficienti ad esercitare effetti psicotropi, le attuali conoscenze sono sufficienti per la valutazione della sua pericolosità.
D) Lei è un Consulente scientifico dell’ O.M.S. , incaricato insieme ad altri 4 scienziati di procedere ad una “riclassificazione” della cannabis. Quale è l’ obiettivo ?
R) In realtà sono stato un consulente dell’OMS nel 2018 insieme alla dott.ssa Cinzia Citti del CNR Nanotec di Lecce, per la scrittura dei reports scientifici riguardanti la chimica della cannabis e suoi derivati. Infatti l’OMS è l’unico organismo mondiale che può avviare un processo di valutazione scientifica della cannabis per raccomandare la sua riclassificazione nei trattati internazionali sugli stupefacenti. L’Italia così come la maggior parte degli stati membri delle Nazioni Unite, ha aderito alla Single Convention del 1961 dove sono riportate le misure di controllo delle sostanze stupefacenti. La cannabis è attualmente nella tabella IV della Single Convention, cioè tra quelle sostanze come l’eroina di scarso o nullo valore medico. Quindi nel 2018 l’OMS ha avviato il processo di valutazione scientifica della cannabis alla luce delle nuove scoperte scientifiche.
Per questo si è avvalsa di 5 esperti internazionali ciascuno specifico del proprio campo di studio. Io, insieme alla dott.ssa Citti, siamo stai scelti per scrivere la parte chimica. Successivamente sono stato invitato a presentare il report, in qualità di “adviser”, nelle sede generale dell’OMS a Ginevra. Durante il meeting, il comitato degli esperti è giunto alle conclusioni pubblicate nel febbraio 2019 in una lettera del Direttore Generale dell’OMS al Segretario Generale dell’UN. Le raccomandazioni sono state considerate da molti rivoluzionarie: per la prima volta veniva riconosciuto il valore medico della cannabis raccomandando di eliminarla dalla tabella IV della Single Convention.
D) Il riconoscimento del valore medico della cannabis potrà favorire l’attività di ricerca e renderla più facilmente disponibile ad uso terapeutico ?
R) Assolutamente si. Il fine di questa valutazione è quello di rendere disponibile la cannabis sia per usi medici che di ricerca. L’OMS ha proposto di applicare alla cannabis le stesse misure di controllo della morfina, quindi sempre estremamente stringenti, ma disponibile per scopi medici. Se le raccomandazioni dell’OMS verranno votate favorevolmente dalla Commission of Narcotic Drug (CND) delle UN nel prossimo meeting di dicembre 2020, certamente la cannabis medicinale sarà più disponibile. Inoltre sarà più semplice condurre ricerche sulla cannabis da parte dei diversi gruppi di ricerca in quanto oggi è possibile soltanto con autorizzazioni difficili da ottenere.
D) La sua ricerca è stata sviluppata in collaborazione anche con il CNR Nanotec di Lecce. Ha quindi rapporti professionali con la nostra città?
R) Sono un ricercatore associato al CNR Nanotec di Lecce da diversi anni dove opera un mio gruppo di ricerca sulla cannabis gestito dalla dott.ssa Citti. Tra l’altro siamo, a Lecce, i capofila di un grosso progetto finanziato dal Ministero dell’Università volto a valorizzare la filiera della canapa. Il CNR Nanotec di Lecce ha quindi un ruolo chiave nel progetto cioè quello di istituire un centro di ricerca d’eccellenza per l’analisi chimica della cannabis. La maggior parte delle mie ricerche sulla cannabis sono svolte a Lecce dove disponiamo di strumenti analitici all’avanguardia. Grazie a questa strumentazione siamo riusciti ad identificare i nuovi fitocannabinoidi.
Inoltre un contributo fondamentale alla mia conoscenza sulla cannabis deriva dal tempo passato a chiacchierare con il dott. Alfredo Tundo, uno dei primi farmacisti preparatori in Italia di galenici a base di cannabis. Senza la sua generosa condivisione sarebbe stato difficile arrivare ad una comprensione intima della chimica farmaceutica della cannabis. Quindi il mio legame con Lecce è estremamente forte e continuo, insomma non si è mai interrotto.
D) Dal Liceo Scientifico De Giorgi di Lecce all’ Università di Modena-Reggio Emilia ed all’ O.M.S. Come è nato il suo interesse per la chimica?
R) Sarei tentato di risponderle in modo formale ma la verità è che tutto è nato da un due della mia professoressa di chimica del De Giorgi. Quel due ha accesso in me una sorta di sfida che mi ha portato alla mia passione per la chimica. La formazione ricevuta al De Giorgi è stata fondamentale per la mia vita così come l’aiuto dei miei compagni di classe con cui tuttora sono in contatto. Devo molto alla mitica quinta A del 1987 da dove sono partito. Tuttora, quando a Modena mi trovo di fronte ad uno studente che viene dal De Giorgi, tanti bei ricordi mi tornano alla mente.

Università di Modena-Reggio Emilia