Menomale che è finita bene
Ho conosciuto Rosario tantissimi anni fa. Lui era specializzando, io ero studente di Odontoiatria, nella vecchia Clinica Odontoiatrica del Policlinico San Matteo, Direttore il mitico Prof. Salvatore De Rysky. In quegli anni tanti leccesi frequentavano l’illustre Università di Pavia. Fra i tanti anche Maria Grazia, che si era però iscritta ad Economia. Galeotta l’Università, come spesso accadeva e accade, Rosario, siciliano, e Maria Grazia, pugliese, si sono innamorati e si sono sposati. Da tantissimi anni vivono e lavorano a Piacenza, che è diventata in tutto e per tutto la LORO città, in cui si sono integrati perfettamente e dove esercitano con successo la loro attività professionale.
Li ho rivisti un paio di anni fa, durante un incontro estivo con altri amici di allora, dei tempi in cui un’amicizia finisce per legarti per la vita, per sempre. Uno di quegli incontri in cui sembra di essersi visti il giorno prima. Invece sono passati tanti anni. Ma l’affetto è rimasto inalterato, e questo è davvero magico e sorprendente. Ecco perché quando ho saputo di quello che era successo a Maria Grazia, a Rosario e alla loro piccola Sofi, non ho esitato a chiamarli per sapere come stessero e se davvero tutto fosse passato, dopo una tempesta davvero tremenda, purtroppo indimenticabile.
A Piacenza, città di 100.000 abitanti, il Covid 19 si è portato via 1000 persone. Ogni famiglia piange i suoi morti da infezione di SARS CoV 2. Rosario ci ha fatto un regalo: ha accettato di scrivere la sua storia. Io ne sono stato felice, e lo ringrazio col cuore. Che sia di monito a chi ha sottovalutato questa terribile malattia, e, soprattutto, a chi già la ritiene una cosa del passato, in un momento in cui ancora il virus è ampiamente presente nella popolazione, in tutte le parti del mondo.
Rosario, Sofia e Maria Grazia stanno meglio e sono guariti per fortuna, e noi non possiamo che abbracciarli con affetto e augurare loro anche dalle pagine del nostro giornale tutto il meglio.

Medico Odontoiatra Lecce
I PRIMI SINTOMI E LA LUNGA LOTTA PER CONVINCERE IL 118 A VENIRE A PRENDERMI
Sono medico odontoiatra con master europeo EMDOLA per l’utilizzo del laser in odontoiatria e master universitario in medicina estetica e del benessere presso l’Università di Pavia, e sono titolare del Polistudio Santa Teresa a Piacenza, ho 61 anni, nessuna patologia particolare. Sono stato travolto dal Covid-19 come da un tornado, fin dall’inizio, quando ancora non si era compresa la gravità della pandemia.
Io e il mio staff siamo ovviamente abituati da sempre a rispettare le norme igieniche e di sanificazione in studio, seguendo i protocolli per epatiti e HIV, e fino a quasi la fine dello scorso febbraio abbiamo lavorato più o meno regolarmente. Il bacino di utenza del mio Polistudio non comprende solo Piacenza e, in particolare, abbiamo molti pazienti dalle vicine province, anche dal Lodigiano, da tutti i comuni limitrofi di quella zona e anche da Codogno.
Da quando quindi è stata dichiarata zona rossa Codogno e i paesi ad esso confinanti, tutti gli appuntamenti di pazienti provenienti da lì sono saltati, e questo ha creato sì in me una certa inquietudine e preoccupazione, ma tutto sommato a Piacenza è proseguito tutto regolarmente e abbiamo lavorato con i soliti accorgimenti di sempre.
Da un giorno all’altro, il 22 febbraio, mi è venuta la febbre, senza alcun sintomo, solo febbre e dolori muscolari un po’ più forti di quelli di una banale influenza, e ho cominciato ad assumere tachipirina. Si sa, noi medici tendiamo a minimizzare le malattie che interessano noi stessi, ma nulla lasciava neanche lontanamente pensare a quello che poi sarebbe accaduto: solo una semplice influenza, anche perché nel frattempo dall’AUSL e dai vari media cominciavano ad essere elencati una serie di sintomi da non sottovalutare, ma che io non avevo: tosse, raffreddore, mal di gola, dispnea, congiuntivite, diarrea, anosmia, ageusia.
Con la tachipirina la febbre è stata sotto controllo per circa una settimana. Improvvisamente si è impennata a oltre 39°, accompagnata da una totale astenia. A Piacenza tutto ancora funzionava più o meno regolarmente. Sono finito in ospedale grazie alle insistenze di mia moglie che per quasi 3 giorni ha combattuto per convincere il 118 a venire a prendermi a casa (lei era impossibilitata a portarmi al PS, anch’ella con febbre alta nel frattempo, e debolissima anche lei e completamente inerme io, impossibile recarci in macchina autonomamente!) cercando di superare un protocollo rigidissimo dei centralinisti, rispondendo alle cui domande non rientravo tra i casi gravi.
Il verdetto subito all’arrivo in ospedale: sfacciato, allarmante, inquietante: polmonite interstiziale gravissima, con scarsissime possibilità di salvezza di vita: i colleghi che mi hanno preso in carico hanno riferito a mia moglie che purtroppo la polmonite era già troppo avanti, che non bastavano 20 lt. al minuto di ossigeno, che avrebbe dovuto farmi ricoverare prima.
LA PAURA, IL CALVARIO, L’AMOREVOLE ASSISTENZA DEI COLLEGHI
Tutto quello che è seguito mi è stato raccontato “dopo” da mia moglie e dai colleghi che con infinita dedizione si sono presi cura di me, di un caso così disperato.
Dopo pochi giorni di tentativi di terapia con l’ossigeno sono stato sedato, indotto in coma farmacologico, intubato e assistito dal ventilatore, e da Piacenza, dove nel frattempo era scoppiata la massima emergenza e mancavano i posti in terapia intensiva, trasferito al Sant’Orsola a Bologna, struttura eccellente, una tra le poche in Italia attrezzata per la respirazione extracorporea.
Non è bastata l’intubazione, dopo un miglioramento leggerissimo (“piccolino-ino-ino-ino-ino” come mi racconta glielo ha riferito il Dott. Massimo Baiocchi, Responsabile della Terapia Intensiva del Sant’Orsola) e un trasferimento al Bellaria, sempre a Bologna, per lasciare il mio posto al Sant’Orsola a un altro caso disperato come ero stato io al mio arrivo, ho dovuto subire una tracheotomia chirurgica d’urgenza. Dopo giorni interminabili per la mia famiglia in cui le speranze sembravano sempre flebilissime, finalmente sono stato svegliato lentamente e a poco a poco svezzato dalla ventilazione.
E’ cominciata la decurarizzazione e mi sono trovato in una stanza del Bellaria già di terapia semintensiva da dove sono poi stato ulteriormente spostato nel reparto per la riabilitazione respiratoria e motoria. Mi son reso conto solo “dopo” di tutto quello che è accaduto nel frattempo: un Paese fermato totalmente, Piacenza tra le città più colpite, amici carissimi improvvisamente deceduti per il virus, l’angoscia e la sofferenza devastanti di mia moglie e di mia figlia di 10 anni per la mia sorte, aggravate dalla loro malattia, sempre a causa del covid-19, a tratti anche molto preoccupante e a rischio ricovero, e che, per tutto il periodo della mia assenza le ha costrette a stare isolate in casa l’una dall’altra, senza neppure il conforto di un abbraccio tra loro.
Il 31 marzo sono stato trasferito vicino Piacenza nell’Ospedale di Castelsangiovanni, per la riabilitazione e la convalescenza, e il 1° aprile ho potuto festeggiare a distanza, ma vivo e presente, l’undicesimo compleanno della mia bimba, divenuta ormai quasi ragazza durante la mia assenza. Qualche giorno prima della Santa Pasqua sono potuto finalmente tornare a casa, non dimenticherò mai gli occhi di mia figlia che ho dovuto salutare a distanza e lo sforzo sovrumano che lei ha fatto per trattenersi dall’abbracciarmi.
Dopo altri giorni lunghissimi e difficili, di ripresa e recupero fisico e mentale, sempre isolati in casa tra noi, finalmente, dopo i doppi tamponi negativi a tutti e tre, alla fine di aprile, dopo oltre due mesi dall’inizio del calvario, abbiamo potuto riabbracciarci.
Il mio unico fattore di rischio è stata l’obesità. Dei miei pazienti che ho visitato e trattato fino a quando mi sono ammalato, monitorati dall’AUSL in seguito alla segnalazione di mia moglie dopo il mio ricovero, nessuno ha avuto il coronavirus. Fino al giorno prima di ammalarmi ho condotto una vita sociale regolare, cena di beneficenza con oltre cento persone la sera prima e cena di chiusura dell’anno accademico del Master di Medicina Estetica e del Benessere dell’Università di Pavia la sera precedente con oltre 150 persone, nessuno dei tantissimi presenti ammalato di coronavirus, neppure i commensali del mio stesso tavolo.
Il coronavirus è stato come un carrarmato che mi è passato sopra, ho perso 25 Kg di cui una parte importante di circa 12/13 Kg di massa magra (muscolo, osso, acqua). Le sue caratteristiche di formare microtrombi in tutti gli organi principali, polmoni, reni, fegato, cervello e circolazione periferica, hanno determinato la morte della maggior parte degli ammalati; per mia fortuna, la mia importante struttura fisica muscolare mi ha salvato. Il danno che sicuramente necessiterà ancora di un lungo periodo di riabilitazione mi è stato causato dalla curarizzazione (durante la terapia intensiva ero alternativamente messo supino o prono per favorire la respirazione) che, eliminando il tono basale dei muscoli, ha fatto gravare tutto il peso sulle terminazioni nervose superficiali, procurandomi delle parestesie importanti sugli avambracci per schiacciamento sui nervi ulnari, e in altre zone. Non dimentichiamo i problemi e il percorso che dovrò affrontare per la riabilitazione muscolare e per quella polmonare.
Mi rimane un forte senso di sgomento per come sia potuto accadere, per come a Piacenza tutto sia proseguito “normalmente” mentre affianco una zona rossa era già stata completamente isolata, finché non è scoppiata la tragedia incontenibile anche qui, per come i fatti accaduti in Cina non abbiano potuto prepararci a contenere e a limitare i danni.
Ho ripreso a lavorare, seguendo per lo Studio le direttive del DPR per il covid-19, certamente con molte più difficoltà organizzative, di paura e stress dei pazienti, di tempistica di gestione degli appuntamenti, con conseguente riduzione del numero dei pazienti giornalieri, considerando anche che devo continuare a svolgere la mia difficile riabilitazione sia fisica ma anche psichica, per superare sia la perdita di amici fraterni, sia per il vedermi strutturalmente molto depauperato.
Noi Medici Dentisti e Odontoiatri abbiamo ora bisogno di attenzione massima e aiuti concreti da parte dello Stato e di tutte le associazioni di categoria (ENPAM, AIO, ANDI etc.): insieme dovrebbero effettuare interventi mirati sia riguardo una riduzione delle future tassazioni, sia per sostenerci sia nell’improvviso sbilancio costi/entrate. Ritengo questo un momento topico in cui pensare a un nuovo modello organizzativo, per unirci veramente al di là dei nostri individualismi, formando per esempio veri e propri gruppi di acquisto a livello nazionale, grazie ai quali individuare prodotti e macchinari con il miglior rapporto qualità/prezzo attraverso specifiche gare d’appalto fra Aziende produttrici.
Ci si è aperto un nuovo capitolo in cui momentaneamente, invece di mettere a budget incrementi di fatturato e obiettivi di acquisizione di nuovi pazienti, dobbiamo piuttosto puntare alla riduzione dei costi e alla marginalità, e ci potremo riuscire se avremo un occhio accorto al contenimento dei costi.
Non dobbiamo necessariamente pensarla tutti allo stesso modo, ma insieme dobbiamo trovare la strada giusta per impostare questo nuovo modello di economia dello Studio, in cui abbattere tutti i costi possibili senza per questo perdere in sicurezza, efficienza, performance e professionalità.
Il peggio direi che lo abbiamo visto, vissuto e ci siamo ancora dentro, dobbiamo ora guardare all’imminente futuro con un consapevole ottimismo per noi e per le prossime generazioni di Colleghi, gettando le basi per un nuovo metodo di lavoro nei nostri Studi, in sicurezza e efficienza a 360°.

Medico Odontoiatra Piacenza