Numero 4 – 2020
Scritto da Dr. Marcello Maniglia – Assistant Research Psychologist – Dottorato in Neuroscience – University of California, Riverside (USA)
NUOVE PROSPETTIVE PER LA RIABILITAZIONE VISIVA IN PATOLOGIE RETINICHE
L’apprendimento percettivo
Nel suo libro ‘Fuoriclasse: storia naturale del successo’, il giornalista Malcom Gladwell, propone la ‘regola delle diecimila ore’, che postula come diventare esperti in qualsiasi attività fisica o mentale, sia questa suonare il violino o programmare al computer, richieda regolare ed estensiva pratica. Al di là dell’esatta quantità di tempo dedicato, abbiamo tutti esperienza diretta di una delle più straordinarie proprietà del nostro cervello, ovvero la tendenza naturale ad imparare e migliorare in una vastissima serie di attività, spesso senza istruzioni esplicite. Il miglioramento dovuto alla pratica è conosciuto in letteratura scientifica come Apprendimento percettivo (‘perceptual learning’, o PL), rappresenta uno dei fenomeni più studiati e dibattuti nell’ambito della psicologia e delle scienze della visione (Sagi, 2011), con i primi articoli scientifici che risalgono alla seconda metà del XIX secolo (Volkman, 1858, Tawney, 1897). Da allora, la letteratura sull’apprendimento percettivo ha indagato i meccanismi e le tecniche che portano semplici esercizi di percezione sensoriale (in particolar modo visivi) a migliorare i nostri sensi. Tali studi hanno dimostrato che non solo attività complesse come guidare un’auto o produrre una diagnosi da una radiografia, ma anche abilità basilari come acuità visiva, discriminazione dell’orientazione e sensibilità al contrasto possono essere migliorate con la pratica. In alcuni casi, il miglioramento nella performance visiva è persino superiore alla risoluzione degli stessi organi di senso, come il caso del fenomeno dell’iperacuità visiva, in cui, a seguito di training estensivo, partecipanti riescono a percepire differenze di orientazione più piccole della distanza fisica tra due fotorecettori retinici (Westheimer,1975). Le caratteristiche di questo fenomeno, in particolare quelle riportate negli studi ‘classici’ sull’argomento (Karni and Sagi, 1991), ne sottolineano la natura specifica, per cui i miglioramenti osservati sembrano essere confinati agli stimoli utilizzati durante il training: ad esempio, dopo aver conseguito un miglioramento significativo nel distinguere piccole differenze in allineamento tra tre elementi a seguito del training, gli stessi partecipanti mostravano difficoltà a condurre lo stesso compito quando la configurazione veniva presentata in un diverso quadrante dello schermo, con una performance simile a quella precedente al training (Figura 1). L’apprendimento quindi non sembra ‘trasferire’ dagli stimoli usati durante il training ad altri che differiscono per poche caratteristiche come la posizione o l’orientazione.
Figura 1: La specificità dell’apprendimento percettivo. Negli studi classici sull’argomento, il training spesso non ‘trasferisce’, ovvero il miglioramento della performance non si mantiene quando il partecipante viene testato in una differente porzione del campo visivo (prima riga), quando gli stimoli sono presentati con una diversa orientazione (seconda riga), quando gli stimoli vengono presentati ad un occhio diverso da quello usato nel training (quando il training avviene in condizioni monoculari, terza riga) (Maniglia e Seitz, 2018).
La plasticità neuronale
La natura specifica di questi effetti sembra combaciare con la struttura anatomica della corteccia visiva primaria, in cui diversi gruppi di neuroni analizzano indipendentemente caratteristiche basilari degli stimoli visivi come l’orientazione e la posizione retinica (Hubel and Wiesel, 1959). E’ stato quindi proposto, ed in seguito scientificamente dimostrato, che tali miglioramenti interessino regioni cerebrali coinvolte nel processamento dell’informazione visiva. I neuroni di queste aree, tramite un processo chiamato plasticità neuronale, adattano la loro risposta per produrre una analisi visiva più efficiente. Cioè significa che, a parità di informazione sensoriale che giunge al cervello dagli organi di senso, i neuroni coinvolti nel processo percettivo migliorano l’elaborazione dello stimolo visivo tramite cambiamenti sinaptici o di proprietà basilari come la dimensione del campo recettivo o la loro soglia di stimolazione (Schoups et al., 2001). Nonostante i dettagli sugli esatti meccanismi dell’apprendimento percettivo siano ancora dibattuti, c’è consenso in letteratura sul ruolo chiave della plasticità neuronale nel generare questo effetto.
Applicazioni cliniche
Come detto, la storia dello studio sistematico dell’apprendimento percettivo dura da oltre un secolo, ma è solo negli ultimi 20 anni che nell’ambiente scientifico si è affacciata l’idea di applicare questi principi per trattare patologie che causano deprivazione sensoriale (Lu, Lin and Dosher, 2016). Questo è in larga parte dovuto allo sviluppo di nuovi paradigmi che permettono di ovviare al summenzionato problema della specificità tramite l’adozione di paradigmi che coinvolgono molteplici aree cerebrali durante il training. La possibilità di ‘trasferire’ questo apprendimento ha rappresentato un punto di svolta nello studio dell’apprendimento percettivo, aprendo scenari di utilità pratica che sembravano precedentemente preclusi dalla specificità riportata nei primi studi. Portato fuori dai laboratori scientifici e nella pratica clinica, l’apprendimento percettivo si è dimostrato efficace nel migliorare i sintomi della miopia (Tan and Fong, 2008) dell’ambliopia (Levi and Polat, 1996) e della presbiopia (Polat, 2009). L’idea alla base dell’intervento clinico tramite apprendimento percettivo risiede nell’allenare il cervello a sopperire al deficit ottico (come nel caso della miopia o presbiopia) o corticale (ambliopia) tramite raffinamento dei meccanismi di analisi visiva. In sintesi, gli esercizi visivi non intervengono sull’aspetto ottico della visione, ma sul processamento di tale immagine: si può quindi ‘insegnare’ al cervello a vedere meglio un’immagine che arriva ad esso sfocata a causa della miopia che affligge le ottiche. Tale compensazione neurale è alle volte così massiccia da permettere ai partecipanti di alcuni studi di non dover più indossare occhiali con lenti correttive per la miopia (Tan and Fong, 2008).
La degenerazione maculare
Gli studi riportati finora si concentrano sull’utilizzo dell’apprendimento percettivo in contesti di patologie visive che si possono definire lievi. Più di recente, alcuni studi hanno provato ad utilizzare tali principi e metodi per allenare pazienti affetti da patologie visive più gravi, come la degenerazione maculare (‘macular degeneration’, o MD) con risultati cautamente incoraggianti (Maniglia, Cottereau, Soler and Trotter, 2016). Questa malattia affligge milioni di persone in tutto il mondo, e, con l’età media della popolazione mondiale che aumenta progressivamente, rappresenta un serio problema a livello di sanità mondiale (Wong et al., 2014). Come il nome suggerisce, la degenerazione maculare è una malattia progressiva che affligge la parte centrale del campo visivo, la macula, che contiene la fovea, la porzione retinica a più alta risoluzione che usiamo per leggere, riconoscere i volti o fissare oggetti in movimento. Questa malattia è caratterizzata da stadi successivi in cui alle distorsioni della griglia retinica succede lo sviluppo di uno scotoma, ovvero una zona di cecità dovuta alla atrofizzazione dei fotorecettori. Raggiunto lo stadio avanzato, pazienti affetti da degenerazione maculare perdono l’uso della visione centrale (Figura 2). Una volta raggiunto questo stadio, la maggior parte dei pazienti sviluppano una regione retinica periferica come sostituto funzionale della fovea. Questa regione prende il nome di Locus retinico preferenziale (‘preferred retinal locus’, o PRL) e viene utilizzata per compiti che necessitano di alta risoluzione visiva come la lettura ed il riconoscimento di volti. Nonostante cioè, la visione periferica è meno acuta di quella foveale, e l’abilità di fissazione è ugualmente molto povera, rendendo difficile per questi pazienti condurre attività quotidiane.
Figura 2: Progressione della degenerazione maculare. Negli stadi iniziali, la malattia si presenta come una lieve distorsione del campo visivo, per poi progredire verso una larga zona di cecità nella parte centrale del campo visivo.
Fortunatamente, studi recenti hanno dimostrato che adottando alcuni degli esercizi visivi di apprendimento percettivo che permettono di ‘trasferire’ l’apprendimento (Figura 3), pazienti maculopatici possono migliorare la loro acuità visiva e sensibilità al contrasto nel loro PRL (Figura 4), e persino migliorare la loro velocità di lettura (Maniglia et al., 2016, Maniglia, Soler and Trotter, 2020).
Figura 3: Esempi di stimoli visivi utilizzati nell’intervento su pazienti con degenerazione maculare. A sinistra, lo stimolo per la misurazione del contrasto, al centro lo stimolo per la misurazione dell’acuità visiva e a destra quello per l’affollamento visivo. (Maniglia et al., 2020).
Figura 4: Risultati degli studi di apprendimento percettivo in pazienti maculopatici (acuità visiva e sensibilità al contrasto). A sinistra, risultati del training con apprendimento percettivo sulla acuità visiva prima del training (pre test), a metà del training (mid test) e alla fine del training (post test). I risultati sono comparati con un gruppo di controllo costituito da partecipanti normovedenti. L’asse verticale indica la dimensione fisica degli stimoli visivi che i partecipanti riuscivano a vedere, per cui un numero minore indica una prestazione migliore. A destra, la curva di sensibilità al contrasto per gli stessi due gruppi di partecipanti, che indica un miglioramento generale nel distinguere differenze di luminosità tra stimoli di diversa frequenza spaziale (anche in questo caso un numero minore indica una prestazione migliore).
Meccanismi di apprendimento percettivo
Per poter massimizzare l’apprendimento percettivo e renderlo una soluzione pratica per la riabilitazione visiva nelle patologie maculopatiche, è importante comprendere i meccanismi sottostanti i cambiamenti in performance. Nonostante la mole di lavori sull’apprendimento percettivo, molte sono le domande che restano aperte.
Nel corso degli anni, diversi modelli sono stati proposti per spiegare tali meccanismi. Tutti questi modelli assumono che gli esercizi visivi producono dei cambiamenti nelle aree cerebrali deputate all’analisi visiva. Dove divergono è nell’esatto livello a cui tali cambiamenti avvengono e i precisi meccanismi che portano a tali modifiche. In generale, il quadro che emerge dalla letteratura corrente è di una complessa interazione tra elementi ‘top down’ (guidati da attenzione e cognizione) e ‘bottom up’ (guidati da caratteristiche fisiche degli stimoli usati durante il training) che agiscono insieme per generare il raffinamento sensoriale (Figura 5). In generale, è plausibile che il miglioramento sia dovuto a cambiamenti che avvengono a differenti livelli dell’analisi visiva, che dipendono dai fattori connessi al tipo di training a cui il partecipante si sta sottoponendo (Maniglia and Seitz, 2018).
Figura 5: Meccanismi multipli di apprendimento percettivo. Diversi modelli di apprendimento percettivo hanno proposto ll coinvolgimento di diverse aree o meccanismi, tra cui plasticità neurale ai primi livelli di processamento dell’informazione visiva (Low level representations), a stadi successivi (higher-level representations) o hanno sottolineato il ruolo di attenzione e feedback. (Maniglia and Seitz, 2018).
Prospettive di intervento future I: Simulare patologie retiniche in laboratorio
Come detto in precedenza, pazienti affetti da degenerazione maculare devono ‘imparare’ ad usare la periferia retinica per compiti precedentemente eseguiti dalla fovea, spesso sviluppando un PRL. Un corpus di studi ha investigato come pazienti spontaneamente sviluppano queste strategie di compensazione, restituendo un quadro eterogeneo che sembra dipendere da molti fattori, tra cui se la degenerazione colpisce entrambi gli occhi, se la perdita di vista foveale è assoluta e quanto è grande lo scotoma. Studiare come i pazienti adattano i loro movimenti oculari in seguito a danno retinico è di fondamentale importanza per poter meglio capire come sviluppare terapie riabilitative. Purtroppo, non sempre è possibile sottoporre pazienti con degenerazione maculare a lunghe sedute di allenamento o di test, ed in generale, la tarda età di questi pazienti tende a ridurne la compliance. Per questo motivo, una serie di studi ha utilizzato un framework di simulazione della degenerazione maculare che permette lo studio di programmi di intervento in un contesto controllato come quello del laboratorio e con l’utilizzo di partecipanti più giovani per i quali è più facile sottoporsi a diverse ore di esercizi visivi. Questi studi utilizzano una telecamera ad infrarossi che traccia in tempo reale i movimenti oculari del soggetto e disegna in tempo reale una regione circolare che occlude la parte centrale del campo visivo, simulando cosi la degenerazione maculare (Kwon Nandy and Tjan, 2013; Walsh and Liu, 2014; Maniglia, Visscher and Seitz, 2020).
Prospettive di intervento future II: Stimolazione elettrica
Di recente, diversi studi hanno utilizzato l’apprendimento percettivo in combinazione con la stimolazione cerebrale non invasiva. In questi studi, i partecipanti conducono gli esercizi visivi mentre degli elettrodi collocati sul capo rilasciano una lieve corrente attraverso il cranio. Questa lieve corrente agisce come modulatore dell’attività neuronale, rendendo le aree sensoriali più ‘reattive’ e quindi migliorando la performance e velocizzando l’apprendimento (Contemori, Cottereau, Trotter and Maniglia, 2019, Figura 6).
Figura 6: Stimolazione elettrica cerebrale (sinistra) e risultati sulle sogile di contrasto (destra). Combinare l’apprendimento percettivo con la stimolazione cerebrale velocizza il miglioramento della performance: I risultati del gruppoo con stimolazione (grigio chiaro, tRNS) sono migliori di quelli dei soggetti senza stimolazione (grigio scuro, Sham). (Contemori, Cottereau, Trotter and Maniglia, 2019)
Prospettive di intervento future III: integrazione multisensoriale
Un altro approccio che sembra promettente si basa sulla corrente ubiquità di tecnologie smartphone: implementare esercizi visivi in applicazioni per telefonini è già una realtà, e diversi studi che mostrano come la ‘gamificazione’ di tipici protocolli di apprendimento percettivo porti a degli ulteriori miglioramenti rispetto a versioni standard degli stessi esercizi (Seitz et al., 2006) L’idea alla base è di utilizzare le tecniche dei videogiochi (suoni, stimoli in movimento, feedback) per coinvolgere ulteriori meccanismi percettivi, attentivi e cognitivi.
Conclusione
L’apprendimento percettivo e la sua applicazione nell’ambito clinico e riabilitativo sta andando incontro a rapidi cambiamenti, dovuti alle nuove tecniche e tecnologie che vengono continuamente sviluppate. La ricerca si sta espandendo e diversificando, permettendo così sia di comprendere meglio quali meccanismi neurali siano coinvolti nei fenomeni di apprendimento osservati in letteratura, sia come tale apprendimento possa essere massimizzato e migliorato per offrire soluzioni future alla portata di tutti.

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